lunedì 18 maggio 2015

Amplero ieri e oggi


Ho scritto le mie prime osservazioni 34-35 anni fa e perciò osservo la lunghissima ed estenuante vicenda «Amplero» con un misto di distacco e tenerezza. (Ho taciuto sugli undici progetti d’irrigazione presentati dalla nostra Autorità di bacino, agli inizi d’aprile).
Ragionavamo a spanne allora, non è come adesso quando incontri un ventenne molto addentrato nelle cose che tratta, pronto a sciorinare report, grafici, leggi, progetti e documenti (anche in inglese). Si parlava genericamente d’impatto riferito ad alcune opere pubbliche – non esisteva ancora la Via (Valutazione d’impatto ambientale). Le persone allora, soprattutto chi viveva a una certa quota – a differenza dei cittadini dei nostri giorni – si rendeva conto immediatamente che se qualcuno prelevava dell’acqua da un fiume o da una sorgente, ci sarebbero state delle ripercussioni negative. (C’entrava anche la paura di cambiare, a dirla tutta). «Impatto», era una parola «magica» in grado di sparigliare le carte di moltissimi accordi e giochi politici.
Capitava di denunciare la mancanza di politiche (industriali, agricole, eccetera) in casi di vertenze ambientali: una visione a medio-lungo periodo da parte degli amministratori, avrebbe evitato molte proposte e progetti inutili – quando non dannosi.
D’altra parte, alla mancanza di politiche in uno o più settori da parte del partito di maggioranza (relativa, assoluta), si accompagnava generalmente l’indifferenza o il silenzio del maggior partito di opposizione e degli altri gruppi politici ancor meno consistenti. Il collateralismo di sindacato e associazioni di categoria alla politica dei partiti, teneva a bada un sano dibattito nella società su alcune scelte degli amministratori. Il colpo finale sull’opinione pubblica spettava – allora come oggi – a ciò che da alcuni anni è definito «collateralismo mediatico»: giornali, radio e televisioni.
Che cosa ha prodotto tale comportamento? L’attualità è figlia della temperie di quegli anni, anche da noi. Mi spiego meglio.
Gli «scontri» di trenta, quarant’anni fa vedeva impegnati su un fronte un gruppo ristretto di ambientalisti mentre sull’altro c’era una sparuta rappresentanza delle istituzioni; ci si confrontava in pubblico, generalmente nella cronaca dei quotidiani locali. Erano contese per lo più riservate a pochi, generalmente ignorate dai comuni cittadini. La politica giocava talvolta – a differenza di oggi – la carta della delegittimazione nei confronti degli ambientalisti anziché controbattere, argomentare, discutere. «Fate il gioco della Dc» quando si prendevano di mira le scelte – a nostro avviso – sbagliate di un’amministrazione retta da una giunta di sinistra, oppure: «Siete alleati con i comunisti» nel caso di critica a un progetto di una giunta monocolore democristiana. È cambiato qualcosa negli ultimi decenni ma ciò dipende ancora dai meccanismi interni della politica. Un leader dei nostri giorni, un (nuovo) partito ignora la condizione e la potenzialità della zona in cui si muove, ma nel gestire il potere che detiene, deve render conto della sua azione a un’associazione di categoria, a un sindacato, a una lobby, a un gruppo di volontari, a un collettore di voti – proporzionalmente al suo peso numerico. Un leader politico perciò, dovrebbe avere l’accortezza di riferire all’associazione di categoria X o a YZ – suo gran procacciatore di voti –, che non può procurargli la luna che a lui è richiesta, anziché promettergliene un pezzetto per volta, come comunemente accade.
Veniamo all’oggi; io cito adesso la vicenda delle probabili trivellazioni sulla costa abruzzese. I pescatori, i coltivatori, i gestori d’impianti di balneazione si trovano in prima fila contro Ombrina Mare 2 e assimilabili. Si registra perciò delle frizioni tra alcuni imprenditori e altri colleghi, tra lavoratori delle piattaforme e persone che operano in altri settori; tra imprenditori, operai da una parte e comuni cittadini riuniti in comitati e associazioni nazionali dall’altra. Viviamo una vicenda simile dalle nostre parti. (Io però mi chiedo nel caso specifico: l’impianto PowerCrop indica una mancanza di politica industriale o di quella agricola)? (1/5)

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