venerdì 22 maggio 2015

Amplero ieri e oggi 5


Non possedendo materiali di prima mano, ho qualche remora a scrivere sulle undici «idee progettuali» dell’Autorità di bacino Liri-Garigliano-Volturno (M. Sbardella, Irrigazione del Fucino, 11 progetti in lista d’attesa”, in «TerreMarsicane» 7 aprile 2015).
Aggiungo qualche riflessione ma provo prima a spiegare perché è facile iscriverli nella vicenda «Amplero». È centrale nella mia lettura la captazione delle acque del Giovenco – non dell’invaso finale –, basta perciò scorrere l’elenco dei progetti per registrare la ricorrenza di tale corso d’acqua.
È stato facile a suo tempo, ironizzare nel Web sull’alto numero delle proposte. Nella vita quotidiana capita anche a me di dover far scegliere a qualcuno tra le mie elaborazioni: come mi comporto? È prassi consolidata nel mondo del lavoro presentare tre proposte di cui una è quella che vogliamo effettivamente portare avanti – migliorandola, adattandola casomai –, un’altra non è certo all’altezza della precedente mentre la terza supera appena il livello della decenza. Gli stessi tecnici fanno capire che la prima idea avrebbe dei problemi a passare perché produrrebbe – tra l’altro – un impatto «notevole sul fronte paesaggistico (una diga alta 35 m in area parco)». I progetti 9 e 10, invece produrrebbero delle «perdite» economiche rispettivamente di 44 e 34 milioni di euro. Un altro paio di proposte ricorda da vicino – si fa tanto per dire – la vecchia idea dell’Ersa. Tale numero dipenderà forse dalla cosiddetta progettazione partecipata che ha coinvolto molti – non tutti – stakeholder (portatori d’interesse). C’è da chiedersi come cotanto metodo democratico, abbia potuto produrre anche le cinque idee appena citate.
Com’è cambiato «Amplero» rispetto agli anni Ottanta? È divenuto una questione meno tecnica e più politica – nel senso deteriore del termine –, nonostante il coinvolgimento di un’Autorità di bacino, secondo me.
L’ampia consultazione con gli stakeholder, è una trovata da geologi, agricoltori, ingegneri idraulici o da politici? (Tu puoi mettere fuori gioco l’ipotesi di un progettista con una nuova teoria o una tecnologia in via di sperimentazione, come fai a battere la decisione di un amministratore locale?).
Il rapporto tra chi forgiava l’opinione pubblica e il mondo politico, è rimasto all’incirca uguale e ai nostri giorni ci pensano più che altro i social network a veicolare le idee dei leader. Nessuno avrebbe però scritto trent’anni e passa fa che nel mazzo delle proposte, c’è quella giusta: «per traghettare il comparto agricolo fucense nel terzo millennio», nemmeno definire un’idea progettuale come «opera rivoluzionaria che risolverà i problemi di irrigazione del Fucino» (Irrigazione nel Fucino, domani il primo incontro per l’innovativo progetto da realizzare, in «MarsicaLive» 19 novembre 2013). Non è difficile immaginare come imposteranno la questione, i mass media – in tempi di populismo galoppante –, una volta scelta dalla Regione l’ipotesi progettuale ritenuta migliore. Si seguirà con buona probabilità, l’usato copione PowerCrop: noi abbiamo ottenuto il malloppo e non dobbiamo farcelo scappare; nel nostro caso: «99.5 milioni in stand-by dal lontano 2001». (Da impiegare «prima che quel tesoretto prenda altre strade»).
Permane pertanto un perverso intreccio di rapporti tra partiti, imprese, associazioni di categoria e sindacati anche se meno evidente rispetto al passato.
C’è stata più partecipazione «popolare» nell’indirizzare le proposte progettuali, ma essa è servita anche a rendere omogenei e compattare interessi disparati, forse contrapposti e a limitare eventuali contestazioni al progetto.
Il progetto dell’Ersa (1980-81) fu criticato da chi chiedeva una maggior conoscenza della situazione locale, da chi reclamava più scienza in fase di progettazione; esso sembrava sorpassato nella sua concezione in quel momento. (Poggiava su solide basi in realtà – «franco di coltivazione», tra l’altro. Si aveva l’impressione che sconfiggere un progetto potenzialmente dannoso equivaleva ad avere un’idea più avanzata, migliore in ogni modo; si pensava – non so quanto ingenuamente – che il mondo funzionasse in quella maniera).
Non ho un’idea dei singoli undici progetti né se esistono i loro esecutivi, ma spero vivamente che rappresentare i nostri corsi d’acqua non sia rimasta una questione meramente idraulica; i fiumi funzionano in modo più complesso di un liquido che si muove in un tubo.
È importante che in quest’occasione non sia alzata una sola briglia su un fiume, nemmeno alta un metro perché se non lo studio almeno l’esperienza degli ultimi decenni insegna a noi italiani che dopo uno sbarramento su un corso d’acqua giungono irrimediabilmente – dopo qualche tempo – le frane e le erosioni.
(Ultime notizie. Gli acquedotti abruzzesi registrano una perdita media del 53%, stando a un dossier dell’Osservatorio di Cittadinanza Attiva – marzo 2015).
In fine. Perché aspettare (almeno) trentacinque anni, se un intervento del genere era tanto importante e urgente per l’agricoltura, l’industria e le popolazioni fucensi? (5/5, Il Martello del Fucino, 4 2015)

Nessun commento:

Posta un commento