Sono rimasto incuriosito
dal titolo di una mostra che si sta tenendo da queste parti – durerà fino a
gennaio: Avezzano e la Marsica: come
eravamo prima del 13 gennaio 1915, giorni addietro. (Già: com’eravamo chi,
cent’anni fa?).
Ho dato una capatina sabato
scorso e mi sono accorto che l’iniziativa pur presentando un tono dimesso,
possiede alcuni tratti delle manifestazioni più blasonate del Centenario. È una
mostra di presepisti e perciò di modelli, ma non solo. In una normale esposizione
del genere, noti (invidi anche) la pazienza e la perizia mentre nel nostro caso
– sotto quel titolo ma soprattutto dietro quella cornice –, la prima cosa che
ti capita sotto gli occhi è lo strafalcione. Ci si aspetta invece un briciolo
di elaborazione in tal caso; una mezz’idea che tenga per una settimana o poco
più.
Segnalo solo il tratto comune
della cultura come passività: il sottotitolo della mia ultima pubblicazione
conteneva non a sproposito il termine spettacolo. La passività – anche in
quest’occasione – non si rileva solo da parte di chi assiste, osserva, ma anche
di chi rappresenta.
Un paio di brevi esempi.
(3D). Riproducendo una
piazza di un secolo fa devo purtroppo inserire delle persone: ho bisogno far
comprendere le proporzioni. Chi frequentava le piazze in quel periodo? Quanti? Quanti
mestieri svolti all’aperto un secolo e passa fa, sono scomparsi alla fine degli
anni Cinquanta? (Soprattutto in plastici inferiori a 1:50). In breve: come
funzionava una piazza o una strada? Come aggiungere un colore – anche il posto
giusto di un comignolo –, alle facciate degli edifici riprodotti in modo tanto
fedele?
(2D). Di un Castello Orsini
(Avezzano): perché disegnare minuziosamente la sua attuale sagoma e tralasciare
le pietre? (Nel senso: bisogna far risaltare almeno la parte aggiunta nel
restauro).
Non sono solo questioni
filologiche.
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