martedì 16 agosto 2016

(Sto suonando benissimo). Ho messo i piedi ai Prati d’Angro per la prima volta nel 1967; li ho attraversati ogni anno fino ai quaranta anche in mountain bike. Ho infilato la loro recente asfaltatura in un frame fabbricato nei primi anni Settanta: qualche comune si lamenta, la prende di quando in quando con l’Amministrazione del Parco; eppure le fotografie che mi sono sfilate sotto il naso non raffiguravano tanto dei comunicati, dei cartelli di protesta o delle scritte sui muri bensì una lingua d’asfalto che copriva una strada cui mi sento affettivamente legato. La vicenda non mi ha colto particolarmente di sorpresa, ben ricordando un paio di comunicati dell’associazione Salviamo l’Orso, nello scorso febbraio; uno di questi:
La stessa associazione aveva già sospettato che: «il vero obiettivo sia una strada a servizio del mai abbandonato progetto di impianti da sci» e che sia utile «per gettare le basi di una impossibile valorizzazione sciistica della Vallelonga che il Sindaco Lippa ha invocato in più di un’occasione». Si trova qua:
Un dato rilevante della vicenda – almeno per me – è che si è trattato di una polemica a tratti aspra tra l’associazione ambientalista e Pnalm, una cosa che non capita tutti i giorni e di là del merito rimanda a un malessere; bisogna purtroppo aggiungere a ciò un recente comunicato – Comitato Parchi Nazionali Italiani e Riserve Analoghe: Franco Tassi, per intendersi – abbastanza critico sulla gestione del parco durante la vicenda «Morena».
Ho mantenuto per anni una sorta di equidistanza tra le parti (Parco, Comuni) durante il rilancio del Pna alla fine dei Sessanta; il mio atteggiamento è cambiato dopo il mio esame in Pianificazione territoriale. Ho dovuto raccontare in quella circostanza anche la provenienza del reddito degli abitanti nella zona presa in esame e la mia (Fucino), non era dissimile dall’Alto Sangro: sono terre che vivacchiavano per buona parte di assistenzialismo. A farla breve: chiudere una strada bianca al traffico motorizzato non metteva in pericolo la pensione di un cinquantenne, il divieto di accendere fuochi dove capitava non faceva revocare l’invalidità al quarantenne, multare un bracconiere non aveva come riflesso immediato il suo licenziamento dallo stipendificio in cui si recava durante la settimana a scaldare la sedia. Un qualsiasi parco naturale in Abruzzo, nel Meridione – di là della sua utilità (vera, presunta) – non rovina certo la vita e gli affari di chi ci vive dentro. Quanti nella vita quotidiana o lavorativa, hanno a che fare con la routine e le decisioni – giuste, sbagliate – di un Parco? Qualche allevatore, qualche contadino.
Non si è trattato però del solito gioco delle parti o della notizia provvidenziale che è riuscita in più occasioni a tappare qualche buco nella cronaca delle nostre testate locali. È ricorso nella narrazione di una parte dei protagonisti il tipo di populismo che avevo denunciato in occasione dell’ultima zuffa sul parco Sirente-Velino. Per capirci qualcosa, secondo me prima di passare agli aspetti che m’interessano maggiormente:
La fine della vicenda, ancora secondo me: «perché autorizzare un intervento per una strada che deve rimanere chiusa e non collega il paese a case o alberghi? La Stazione Ornitologica Abruzzese ha trovato i documenti per dare una risposta: la costruzione di nuovi impianti di risalita […] l’assalto al versante nord dell’Aceretta con nuovi impianti di risalita da Villavallelonga», 27 luglio:

Sarebbe stato perciò opportuno rispondere alla domanda: «È vero che volete costruire degli impianti di risalita nel territorio comunale di Villavallelonga?» o tacere da parte di molti, dopo un simile brano. (1/5)

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