Lo slogan «com’era,
dov’era» ha più di un secolo di vita. Non mi attrasse quarant’anni fa (Friuli) e
mi fu indifferente nel post-terremoto nell’Aquilano (2009): esso va utilizzato
con parsimonia e cum grano salis. Dopo
una devastazione è bene conservare lo schema di una città e i temi collettivi –
quando è possibile. (Gli edifici saranno una copia di se stessi perché riempiti
d’acciaio o altri metalli speciali).
Posso ricostruire
un’abitazione dell’Ottocento ma tale manufatto era generalmente privo di servizi
igienici, cablaggi, acqua corrente, elettricità e riscaldamento a differenza di
quello distrutto da poco: lo voglio proprio così? Voglio il soffitto alto ancora
quattro metri, l’obsoleto e buio corridoio, le finestre minuscole e l’intera
costruzione che disperde il calore dei termosifoni durante l’inverno? (La
questione in tal caso è: dove faccio partire la storia?).
Non solo. Fino a trent’anni
fa potevo costruire o ricostruire ovunque mentre oggi è diverso perché noi possediamo
un maggior numero d’informazioni sul comune e sull’area su cui poggiare le
fondamenta di un edificio. È vantaggioso ricostruire un palazzo bellissimo e
molto simbolico sistemato a cento metri da una faglia attiva o su un terreno
che amplifica le scosse telluriche?
Qualche millennio di storia
umana insegna che la prima cosa che hanno fatto i nostri antenati in caso di
catastrofe è valutare se restare o abbandonare il posto dove vivevano.
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