martedì 15 marzo 2016

(and the law won)

Ripensavo alla vicenda della cancellazione di alcuni murali, da parte dello stesso autore (Blu) a Bologna, domenica mattina. Vi erano difatti diverse saracinesche abbassate e si notavano delle decorazioni che rimandavano in qualche modo a quella cultura.
Disegnare, scrivere sui muri è un’attività legata alla città e ha perciò alle spalle qualche millennio di pratica. (Cfr.: I. Calvino, La città scritta: epigrafi e graffiti, 1980).
Disegnavo a matita su vecchi intonachi evitando quelli tinteggiati di fresco o i nostri rari edifici di un certo pregio, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Mi capitava di giorno, quando stavo casomai in un crocchio d’amici; mi staccavo da loro e disegnavo per qualche minuto. Si trattava di figure nello stile psichedelico del tempo, con qualche incursione nella Pop Art. Mai usato un pennarello su un muro – non ve n’erano d’indelebili in quel tempo. Si trattava di minuscoli disegni, perché la punta di grafite spariva dopo pochi tratti. (Non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello di portarmi dietro un temperamatite). Ignoro di quante persone si siano mai accorte di questa mia attività, un po’ per la dimensione dei disegni un altro po’ perché non si usava firmare disegni o scritti di sorta in quel periodo. Non mi pagava nessuno per quel genere di operazione, io non facevo fotografare ciò che disegnavo e non m’importava granché se un’«opera» si deteriorava insieme all’intonaco su cui si reggeva o se qualcuno le «ritoccava». Meno che mai se il proprietario tinteggiava la facciata su cui io mi ero esercitato.
Era arte la mia? Penso di no, si trattava di un gesto e basta. Al tempo dell’università capitò di pensare un paio di murali con altri ma non se sortì niente: costava troppo confrontato con il piacere nella sua realizzazione.
I disegni a spray sono stati sdoganati e perciò legittimati dall’establishment artistico (banche, critici d’arte, galleristi, mercanti, intellettuali, riviste, operatori) alcuni anni dopo e da allora, si parla di street art anche in Italia (anni Ottanta). (Gli operatori approntarono anche un codice di regole, rituali e pose intellettuali). Io non mi ci sono ritrovato in quelle coordinate, anche se mi piace guardare immagini del genere.

Tale pratica era in realtà già divenuta una soluzione per le facciate di edifici nelle aree degradate di periferia e me ne accorsi a Berlino, pochi mesi prima del crollo del Muro (novembre 1989). Gli attori della vicenda di Bologna sono perciò interni a questo meccanismo e mi dispiace per i bolognesi – giusto un po’.

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