Ripensavo alla vicenda
della cancellazione di alcuni murali, da parte dello stesso autore (Blu) a
Bologna, domenica mattina. Vi erano difatti diverse saracinesche abbassate e si
notavano delle decorazioni che rimandavano in qualche modo a quella cultura.
Disegnare, scrivere sui
muri è un’attività legata alla città e ha perciò alle spalle qualche millennio
di pratica. (Cfr.: I. Calvino, La città
scritta: epigrafi e graffiti, 1980).
Disegnavo a matita su
vecchi intonachi evitando quelli tinteggiati di fresco o i nostri rari edifici
di un certo pregio, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Mi capitava di
giorno, quando stavo casomai in un crocchio d’amici; mi staccavo da loro e
disegnavo per qualche minuto. Si trattava di figure nello stile psichedelico
del tempo, con qualche incursione nella Pop Art. Mai usato un pennarello su un
muro – non ve n’erano d’indelebili in quel tempo. Si trattava di minuscoli
disegni, perché la punta di grafite spariva dopo pochi tratti. (Non mi passava
nemmeno per l’anticamera del cervello di portarmi dietro un temperamatite).
Ignoro di quante persone si siano mai accorte di questa mia attività, un po’
per la dimensione dei disegni un altro po’ perché non si usava firmare disegni
o scritti di sorta in quel periodo. Non mi pagava nessuno per quel genere di
operazione, io non facevo fotografare ciò che disegnavo e non m’importava
granché se un’«opera» si deteriorava insieme all’intonaco su cui si reggeva o
se qualcuno le «ritoccava». Meno che mai se il proprietario tinteggiava la
facciata su cui io mi ero esercitato.
Era arte la mia? Penso di
no, si trattava di un gesto e basta. Al tempo dell’università capitò di pensare
un paio di murali con altri ma non se sortì niente: costava troppo confrontato
con il piacere nella sua realizzazione.
I disegni a spray sono
stati sdoganati e perciò legittimati dall’establishment
artistico (banche, critici d’arte, galleristi, mercanti, intellettuali, riviste,
operatori) alcuni anni dopo e da allora, si parla di street art anche in Italia (anni Ottanta). (Gli operatori
approntarono anche un codice di regole, rituali e pose intellettuali). Io non
mi ci sono ritrovato in quelle coordinate, anche se mi piace guardare immagini del genere.
Tale pratica era in realtà già
divenuta una soluzione per le facciate di edifici nelle aree degradate di
periferia e me ne accorsi a Berlino, pochi mesi prima del crollo del Muro (novembre
1989). Gli attori della vicenda di Bologna sono perciò interni a questo meccanismo
e mi dispiace per i bolognesi – giusto un po’.
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