Ho visto rovinare
lentamente, per anni, il terreno e il suo manto erboso lungo via Fratelli
Rosselli. (D’estate spuntano delle erbe che mi ricordano l’infanzia e che hanno
perso cittadinanza nei curatissimi prati d’oggi. Sono erbe selvagge che
rimandano ad altri tempi).
Un paio di casette è
disabitato e sta andando in malora, una di queste ha il tetto (di legno)
sfondato. Gli infissi di legno, in quella foggia e che chiudono completamente
le bucature, l’«opus» molto «incertum» d’alcuni muri, le tegole invecchiate e
l’intonaco con l’aria vissuta, mi ha portato indietro nel tempo – nonostante le
parabole appese ai muri. (Sono entrato in una condizione senza tempo, nel giro
di un paio di minuti).
È stata un’esperienza molto
gradevole: guardare i vecchi colori sbiaditi dei muri e provare a ricordare – a
indovinare –, com’erano all’inizio.
Ho provato, nei pochi
minuti che ho passato là dentro, a elencare le attività cui ha assistito quella
corte dalle pareti stinte e scrostate: bucati all’aperto e bottiglie di
pomodori bolliti, granoturco a essiccare e bambini che giocavano. Me ne sono
venute in mente solo alcune ma ho avuto l’impressione che quello, un tempo,
fosse un posto brulicante di vita. (Avezzanoblu,
febbraio 2010)
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