Mi hanno
fatto notare diversi commenti apparsi su Facebook riguardanti il mio post dello
scorso 7 luglio. Era già uscito nel week
end per Il Martello del Fucino,
poi è stato pubblicato anche su Site
(8 luglio). Che dire? Vi è stato chi l’ha compreso bene e chi invece, per
niente: la divisione è stata stranamente nettissima. Più di uno ha pescato una delle 594 parole e ci ha malamente improvvisato
sopra; non è invece un problema se un mio giudizio su una questione è diverso
da quello di un altro. Spiego La città
dei gamberi – questo il titolo nell’edizione cartacea –, anche se chi mi
legge qua, l’ha sicuramente capito.
Il mio
punto di partenza è un’esperienza
personale – sono un blogger non un
pubblicista o un giornalista. Ho raccontato due ambienti distanti centinaia di
chilometri, scendo in dettaglio.
Milano è trenta volte Avezzano, il suo tasso di
disoccupazione è più basso almeno di una dozzina
di punti rispetto al nostro, la sua popolazione cresce di un terzo durante la giornata lavorativa
a differenza del capoluogo marsicano, dove rimane costante. (Sono solo dati
quantitativi?). Vado avanti.
C’è stato
lo stesso baccano registrato da noi all’apertura di Ipercoop, nel leggere
l’annuncio del primo McDonald’s nel capoluogo meneghino? Certo che no: da
quelle parti non si attacca mai la gente che lavora, per principio. Al milanese
medio interesserebbe sicuramente meno dell’avezzanese di Eventi Estate 2019,
come pure quella dell’anno precedente perché uno va a teatro, al cinema, alle
mostre o ai concerti secondo i propri gusti. (Ognuno se la cava per conto
proprio in generale, oltre il Po. È questa la principale differenza con la
mentalità meridionale). Avversione alle piste ciclabili come ad Avezzano? No,
perché molti sono abituati a utilizzare i trasporti pubblici; l’automobile è
considerata un mezzo per spostarsi, non uno status
symbol come da noi e in altre zone economicamente depresse. (Oltre trent’anni
fa, nella Pianura padana, si aveva anche coscienza che gli scarichi delle
automobili erano pericolosi per la salute, ad Avezzano ci vorrà ancora qualche
lustro per rendersene conto). Nella «Milano da bere» – quella delle modelle,
dei pubblicitari e delle boutique per
intendersi –, la gente comune si rammaricava per la fabbrichetta con sette,
otto operai che chiudeva i battenti: stipendi in meno, macchinari a prendere la
polvere, capannone deserto. La nostra principale testata regionale ha pubblicato,
invece, dei «necrologi» riferiti a negozi che chiudevano o si allontanavano dal
centro-centro, per qualche anno. Nella città spinta sulla ribalta nazionale dall’affermazione
del gruppo Fininvest, le persone con cui discutevo, decantavano il grosso intervento
edilizio di Edilnord a Segrate (Milano 2) più che Drive In.
In questi
ultimi trent’anni, si è messo un paio di volte le mani a Stazione Centrale;
nello stesso periodo la stazione d’Avezzano è rimasta com’era anzi... Una
grande città ha un bisogno di rappezzarsi, restaurarsi, rinnovarsi che è molto diverso
da una piccola – in diversi, si sono arrabbiati per il taglio di alcuni alberi malati in piazza A. Torlonia, anni fa.
Riprendo
la vicenda Tangentopoli: a me interessa che una città funzioni, stia al passo con i tempi. Io non mi curo minimamente
se un sindaco, una volta adempiute (bene) le sue funzioni, procura anche un
lavoro all’amante, briga per far vincere un appalto alla cooperativa che gli ha
procurato duecento voti, non paga i contributi alla colf (filippina), sniffa
coca o si veste da donna.
p.s. Non
mi curo delle carinerie nei miei confronti e delle offese (poi cancellate) su
Facebook: che cuociano nel loro brodo.
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