martedì 5 novembre 2013

K'sLT 41


Le celebrazioni dell’anniversario del terremoto ad Avezzano sono trite messinscene e non m’aspetto molto da quelle del Centenario, tra un paio d’anni. E' come la leva obbligatoria di un tempo: si partiva sapendo che era tempo perso; era una cosa che andava fatta anche se non se n’avvertiva la necessità. Mi ci portarono quando frequentavo le elementari o le medie. La faccenda si è chiusa lì: come una vaccinazione obbligatoria di cui non ricordi a distanza di qualche anno. Non è solo quello, però.
Gli avezzanesi si disinteressano ai fatti del 15 gennaio 1915 un po’ perché è passato molto tempo e un po’ per la narrazione che n’è stata fatta, degli stessi. Possiamo fare nulla contro il tempo che scorre, ma noi possiamo far qualcosa per contrastare il racconto che le élite che si sono finora avvicendate diffondono agli abitanti.
I romani, commemorano l’eccidio delle Fosse ardeatine (24 marzo) nell’omonima località; per la presa di Roma (20 settembre) si ritrovano nel luogo della «breccia», a Porta Pia. Gli avezzanesi, festeggiano le Forze armate (4 novembre) davanti al monumento ai Caduti; essi però ricordano il terremoto del 1915 fuori del centro abitato. I compaesani si raccolgono alle falde del Salviano, anziché davanti a Castello Orsini, a San Govanni decollato, alle baracche asismiche o intorno alle macerie di San Bartolomeo dove – da alcuni anni –, è stata fatta ricavare in fretta e furia una piccola area archeologica, dal Comune. Può sembrare una stranezza ma non lo è.
Scorrendo la cronaca degli ultimi decenni incrociamo: abbattimento del mercato coperto, edifici pubblici mandati in malora, restringimento dei marciapiedi con taglio della vecchia alberatura, tentata vendita di una scuola media per ricavarne una galleria commerciale, ecc. Sono andate in rovina anche costruzioni private con una storia alle spalle, seppur breve; ci s’aspetta adesso che la Del. 439/2012, dispieghi il suo potenziale. (Vale la pena ricordare la prima applicazione del marsicano «metodo Vitruvio», proprio in città). Non ci si è mai interessati alla lenta e sistematica manomissione, quando non la scomparsa della viabilità precedente – il cambio della denominazione di via Albense è solo un ultimo (odioso) atto.
La «città giardino» del Prg post-terremoto – consegnato in un anno e mezzo – sembra oggi una vecchia utopia, in un Quadrilatero alla mercè delle società immobiliari e di qualche commerciante. Il centro, prosciugato lentamente dei suoi abitanti, è stato indirizzato verso un modello che ricorda insieme il mercato di stracci e il luna-park. La zona, contiene scarsi temi collettivi e nel caso dei giardini pubblici di piazza Torlonia, mal mantenuti.
Mi chiedevo un anno fa, non tanto dove si sarebbero tenute le celebrazioni per il Centenario quanto come trovare un legame di tipo visivo tra l’Avezzano prima del terremoto, quella ricostruita e ciò che abbiamo davanti agli occhi. (Era ancora il tempo della vendita delle scuole, della chiusura del tribunale, del cinema Impero e della Pro-loco – Posta vecchia –, del nuovo corso dell’Arssa – anche del suo parco interno. D.: che cosa c’è rimasto d’importante ereditato dalla città vecchia o dalla ricostruzione?). (1/2)

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