sabato 2 novembre 2013

Before the flood


Mi sono occupato di questioni «geograficamente» distanti dai miei interessi, negli ultimi tempi. («Ci vuol poco», dirà chi mi conosce bene). M’infastidisce sentir parlare male di parchi e riserve naturali, e le nostre testate locali quest’anno ci sono andate giù duro.
Ho anche capito dal numero dei commenti che certi argomenti interessano poco al punto che si possono scrivere senza problemi delle amenità. (Ci sono andate giù duro, anche in questo caso). Io pubblico qualcosa sul traffico o sul nostro centro città nel blog, e i miei contatti impennano mentre su una testata on-line molto seguita, per un orso o un cervo ucciso a fucilate non succede lo stesso e bisogna ricorrere al sensazionalismo o – peggio ancora – al complottismo per indirizzare gli internauti.
Mi resta facile confrontare i beni artistici e quelli ambientali. Gli ingredienti politici sono stati identici: lo stato è intervenuto prima sul patrimonio naturale e dopo alcuni lustri, sulle nostre città d’arte. Le reazioni sono state però diverse. È filato tutto liscio, nel primo caso mentre nel secondo, s’è assistito a fenomeni di estesa resistenza da parte di chi lavorava nel comparto, di studiosi e critici d’arte. È utile ricordare che tale movimento d’opinione ha prodotto una gran mole di articoli, petizioni, incontri, conferenze e libri.
(Detto in maniera semplificata. Buona parte dei fondi riservati alle Belle arti, finisce in mostre anziché agli scavi e alla catalogazione e quelli destinati ai Beni ambientali in promozione turistica anziché alla ricerca. Da decenni. Il modello imposto è a metà strada tra il parco a tema e Sugar Mountain).
Il personale (poco motivato) di parchi e riserve naturali è in realtà un po’ diverso da chi lavora nelle Soprintendenze. I Parchi sono pieni d’impiegati e segretarie anziché di biologi; gli stessi enti fanno poca ricerca e pubblicano ancor meno. C’è bisogno di biologi, di botanici e anche di geografi e di storici per funzionare, semplicemente.

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