lunedì 11 gennaio 2016

TWD 1


Ho registrato nel volgere di due-tre giorni: un concerto saltato dalle mie parti, la polemica tra un circuito teatrale e un comune della Marsica orientale, un libro su un paese dell’Abruzzo interno proveniente almeno dalla nostra costa e un articolo superficiale sulle lotte contadine del 1950 e la Riforma – a lungo in apertura sulla testata locale online più seguita. (A metà dicembre). È facile chiedersi: perché tutto ciò?
Parto dal ruolo che ricopre la mia città a scala comprensoriale, regionale e nazionale. Avezzano è il capoluogo della Marsica da almeno un secolo, punto e basta – essa è perlopiù ignorata lungo la costa abruzzese e nel resto della Penisola. Essa possiede in generale ciò che le occorre per ricoprire tale posizione. Lo stesso comprensorio conta lo stesso numero di residenti di un quartiere periferico romano, napoletano o milanese. Manca perciò ad Avezzano almeno un’orchestra, un’università, un teatro. (Un teatro non è solo un posto che apre saltuariamente per ospitare uno spettacolo). Il comprensorio non possiede perciò i luoghi di formazione né quelli di produzione. Mi laureo altrove in ingegneria aerospaziale, in chimica o in sociologia, mi diplomo in pittura o al Berklee College of Music e non ritorno dalle mie parti per lavorare. (È saggio perciò abbandonare sogni di gloria di sorta: Avezzano continuerà a crescere attraverso i conterranei che vi si trasferiscono per vivere più comodamente – finché tiene l’ospedale e vi saranno dei marsicani).
Proseguo chiedendomi prosaicamente: di che cosa vive Avezzano, la Marsica? (Nel senso: agricoltura, industria, commercio, servizi, terziario – avanzato e no). Sono poco numerosi e ininfluenti nella Marsica quanti usano il cervello nella propria attività: si ambisce generalmente un lavoro fisso in cui ci si sporca poco, con uno stipendio alla fine del mese e scarse responsabilità. Il capoluogo vive generalmente d’assistenzialismo a dirla tutta e perciò si può anche domandarci: che se ne fa l’avezzanese o il marsicano medio dell’arte, della ricerca, della cultura, dell’innovazione, della tecnologia, dell’invenzione tout court?
Esiste un legame tra il giovane che declama al vento una poesia che ha composto, l’alveo di un fiume ricoperto di cemento o il Piano regolatore attuato in misura irrisoria. La cultura non si mangia in tutti e tre i casi – negli ultimi due la sua mancanza fa in compenso entrare dei quattrini in tasca a qualcuno. (Nessuno chiude le scuole o le università come succede altrove: il loro sapere serve talvolta a razionalizzare qualche scelta politica). La classe dirigente decide di volta in volta secondo convenienza ciò che vale la pena mandare avanti. Un sindaco appoggia lo storico X, una testata giornalistica spinge il cantante Y, una conventicola promuove il poeta dialettale Z; si svolge tutto – generalmente – secondo i tempi e le esigenze della politica. (Non si fanno più le mostre d’arte come trenta, quarant’anni fa: perché? Perché un amministratore pubblico ricava più lustro e clientela da un altro genere d’iniziativa). (1/3)

1 commento:

  1. E' uno sfogo sulle tue letture? Bravo, mi è piaciuto. L'analisi che hai stilato, seppure semplice e leggera, è condivisibile. E ci sono però tanti perché da abbinare ad ognuna delle tue affermazioni.

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