Ho registrato nel volgere
di due-tre giorni: un concerto saltato dalle mie parti, la polemica tra un
circuito teatrale e un comune della Marsica orientale, un libro su un paese
dell’Abruzzo interno proveniente almeno dalla nostra costa e un articolo superficiale
sulle lotte contadine del 1950 e la Riforma – a lungo in apertura sulla testata
locale online più seguita. (A metà
dicembre). È facile chiedersi: perché tutto ciò?
Parto dal ruolo che ricopre
la mia città a scala comprensoriale, regionale e nazionale. Avezzano è il
capoluogo della Marsica da almeno un secolo, punto e basta – essa è perlopiù
ignorata lungo la costa abruzzese e nel resto della Penisola. Essa possiede in
generale ciò che le occorre per ricoprire tale posizione. Lo stesso
comprensorio conta lo stesso numero di residenti di un quartiere periferico romano,
napoletano o milanese. Manca perciò ad Avezzano almeno un’orchestra, un’università,
un teatro. (Un teatro non è solo un posto che apre saltuariamente per ospitare
uno spettacolo). Il comprensorio non possiede perciò i luoghi di formazione né
quelli di produzione. Mi laureo altrove in ingegneria aerospaziale, in chimica
o in sociologia, mi diplomo in pittura o al Berklee College of Music e non ritorno
dalle mie parti per lavorare. (È saggio perciò abbandonare sogni di gloria di
sorta: Avezzano continuerà a crescere attraverso i conterranei che vi si
trasferiscono per vivere più comodamente – finché tiene l’ospedale e vi saranno
dei marsicani).
Proseguo chiedendomi prosaicamente:
di che cosa vive Avezzano, la Marsica? (Nel senso: agricoltura, industria,
commercio, servizi, terziario – avanzato e no). Sono poco numerosi e ininfluenti
nella Marsica quanti usano il cervello nella propria attività: si ambisce generalmente
un lavoro fisso in cui ci si sporca poco, con uno stipendio alla fine del mese
e scarse responsabilità. Il capoluogo vive generalmente d’assistenzialismo a
dirla tutta e perciò si può anche domandarci: che se ne fa l’avezzanese o il
marsicano medio dell’arte, della ricerca, della cultura, dell’innovazione, della
tecnologia, dell’invenzione tout court?
Esiste un legame tra il giovane
che declama al vento una poesia che ha composto, l’alveo di un fiume ricoperto
di cemento o il Piano regolatore attuato in misura irrisoria. La cultura non si
mangia in tutti e tre i casi – negli ultimi due la sua mancanza fa in compenso entrare
dei quattrini in tasca a qualcuno. (Nessuno chiude le scuole o le università
come succede altrove: il loro sapere serve talvolta a razionalizzare qualche
scelta politica). La classe dirigente decide di volta in volta secondo
convenienza ciò che vale la pena mandare avanti. Un sindaco appoggia lo storico
X, una testata giornalistica spinge
il cantante Y, una conventicola
promuove il poeta dialettale Z; si
svolge tutto – generalmente – secondo i tempi e le esigenze della politica.
(Non si fanno più le mostre d’arte come trenta, quarant’anni fa: perché? Perché
un amministratore pubblico ricava più lustro e clientela da un altro genere
d’iniziativa). (1/3)
E' uno sfogo sulle tue letture? Bravo, mi è piaciuto. L'analisi che hai stilato, seppure semplice e leggera, è condivisibile. E ci sono però tanti perché da abbinare ad ognuna delle tue affermazioni.
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