martedì 12 gennaio 2016

TWD 2


La mia città non fila generalmente i suoi docenti universitari ma anche ingegneri, botanici, architetti, medici e altri professionisti di una certa levatura che l’hanno a lungo frequentata e potevano esserci utili in qualche modo. (Anche quelli che sono andati via da anni e hanno fatto fortuna altrove). Serve anche ciò per mantenere immutati il più possibile nel tempo gli equilibri politici e sociali.
Il resto è cronaca, ne tratteggio giusto lo sviluppo recente. Un amministratore taglia i fondi a una manifestazione collaudata per indebolirla e quindi, controllarla; la fa poi ripartire con gli stessi organizzatori o con persone fidate in modo che serva ai suoi scopi. In alternativa: lo stesso amministratore inventa ex novo un’iniziativa e la affida a un personaggio manipolabile o ricattabile – senz’arte né parte com’è ovvio. (Segnalo in fine, la sovrapposizione e la confusione del ruolo tra le varie figure che partecipano all’intero processo – spettatore incluso).
Mi sono già dilungato altrove sul provincialismo che pervade la nostra società e questa volta, per la mia conoscenza di persone appartenenti alla generazione successiva, mi metto nei panni di chi diserta un gran numero di manifestazioni che si svolgono, già: perché succede? È solo scarso interesse o anche ignoranza? Non ne ho un’idea abbastanza precisa ma penso che dipenda in parte per il rapporto ostico con la contemporaneità da parte delle nostre politiche culturali.
Capitava in fondo lo stesso anche a me da adolescente. Ero hip più che up-to-date ai miei tempi e m’interessavo a correnti artistiche nemmeno contemporanee come la pop art (anni Cinquanta) o all’Espressionismo astratto (anni Quaranta), tralasciando la pittura dei secoli passati – l’ho frequentata in seguito. Era quello il linguaggio in cui eravamo immersi, di cui eravamo intrisi noi giovani e non la minestrina riscaldata – per quanto tuttora celebrata – che passava il nostro convento, fatta di paesaggi e ritratti. Ci trovavamo più a nostro agio con Rauschenberg, Lichtenstein e de Kooning che non con il nostro Mario Sironi o Umberto Boccioni. Vale lo stesso discorso per la musica, il teatro e la letteratura. (Era più mainstream nella Penisola il sottoscritto che negli anni Novanta indugiava con il pennino e gli acquerelli su Italo Calvino o – nello stesso periodo – i temuti agiografi d’Ignazio Silone?).
Ho vissuto anch’io una situazione del genere: stai fuori e te ne vai in giro per mostre, reading, conferenze, librerie, concerti, cinema d’essai, presentazioni, diciamo pure laicamente e serenamente; torni dalle tue parti, hai del tempo libero e non sai come riempirlo perché manca qualcosa che possa intrigarti. (Mi sono accorto di aver cambiato città recandomi all’edicola senza trovare le riviste che m’interessavano). (2/3)

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