La mia città non fila
generalmente i suoi docenti universitari ma anche ingegneri, botanici, architetti,
medici e altri professionisti di una certa levatura che l’hanno a lungo frequentata
e potevano esserci utili in qualche modo. (Anche quelli che sono andati via da anni
e hanno fatto fortuna altrove). Serve anche ciò per mantenere immutati il più
possibile nel tempo gli equilibri politici e sociali.
Il resto è cronaca, ne
tratteggio giusto lo sviluppo recente. Un amministratore taglia i fondi a una
manifestazione collaudata per indebolirla e quindi, controllarla; la fa poi ripartire
con gli stessi organizzatori o con persone fidate in modo che serva ai suoi
scopi. In alternativa: lo stesso amministratore inventa ex novo un’iniziativa e la affida a un personaggio manipolabile o
ricattabile – senz’arte né parte com’è ovvio. (Segnalo in fine, la sovrapposizione
e la confusione del ruolo tra le varie figure che partecipano all’intero processo
– spettatore incluso).
Mi sono già dilungato altrove
sul provincialismo che pervade la nostra società e questa volta, per la mia
conoscenza di persone appartenenti alla generazione successiva, mi metto nei
panni di chi diserta un gran numero di manifestazioni che si svolgono, già:
perché succede? È solo scarso interesse o anche ignoranza? Non ne ho un’idea abbastanza
precisa ma penso che dipenda in parte per il rapporto ostico con la
contemporaneità da parte delle nostre politiche culturali.
Capitava in fondo lo stesso
anche a me da adolescente. Ero hip più
che up-to-date ai miei tempi e m’interessavo
a correnti artistiche nemmeno contemporanee come la pop art (anni Cinquanta) o
all’Espressionismo astratto (anni Quaranta), tralasciando la pittura dei secoli
passati – l’ho frequentata in seguito. Era quello il linguaggio in cui eravamo
immersi, di cui eravamo intrisi noi giovani e non la minestrina riscaldata –
per quanto tuttora celebrata – che passava il nostro convento, fatta di
paesaggi e ritratti. Ci trovavamo più a nostro agio con Rauschenberg, Lichtenstein
e de Kooning che non con il nostro Mario Sironi o Umberto Boccioni. Vale lo
stesso discorso per la musica, il teatro e la letteratura. (Era più mainstream nella Penisola il
sottoscritto che negli anni Novanta indugiava con il pennino e gli acquerelli
su Italo Calvino o – nello stesso periodo – i temuti agiografi d’Ignazio
Silone?).
Ho vissuto anch’io una
situazione del genere: stai fuori e te ne vai in giro per mostre, reading, conferenze, librerie, concerti,
cinema d’essai, presentazioni, diciamo
pure laicamente e serenamente; torni dalle tue parti, hai del tempo libero e
non sai come riempirlo perché manca qualcosa che possa intrigarti. (Mi sono
accorto di aver cambiato città recandomi all’edicola senza trovare le riviste
che m’interessavano). (2/3)
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