Novantaquattro. E’ questo
il numero delle piante che il Comune non ha ripiantato dopo il taglio o che ha dimenticato
di piantare, dentro il Quadrilatero. Negli ultimi decenni, nonostante le
promesse. Il numero è approssimato per difetto, nel senso che non ho
conteggiato gli alberi malandati, quelli irrimediabilmente danneggiati; non ho
inserito gli arbusti che qualche frontista ha piantato per proprio conto. (Non
sono solo decine, come io ripeto da anni). Si nota il numero? E’ alto, basso,
così-così?
Il Quadrilatero è la nuova
Avezzano, rinata dopo il terremoto (1915), la «città giardino» proposta ai
pochi reduci del triste evento e ai numerosissimi nuovi cittadini accorsi al
tempo della ricostruzione. Era un posto pieno d’alberi, nel senso: che è stato
riempito di piante dalle amministrazioni comunali.
Sono affiorati vecchi
ricordi durante tale conteggio: alberi fatti abbattere o curati dai frontisti,
alberi di cui s’è ormai persa ogni traccia. Interi filari scomparsi. Si è
trattato di scorrere una storia collettiva dove s’incrociano necessità, fobie, esigenze,
trip, fatterelli, contingenze,
fissazioni singole e di gruppo con decisioni amministrative e politiche, più
che riportare il numero dei «fusti» mancanti per ogni strada. Le ultime cinque amministrazioni
– in particolar modo –, si sono abbandonate alle richieste (anche alle bislacche
utopie, purtroppo) dei commercianti locali.
Un conto è parlare d’alberi
ad Avezzano e un conto è parlare d’alberi a Roma, a Parigi, a Berlino, a Londra.
Non è la stessa cosa. Noi possiamo intendercela con gli abitanti di Latina e
Sabaudia – città fondate rispettivamente nel 1932 e nel 1934 –, quando si
discute d’alberi ma non con i bolognesi, i viennesi, i madrileni ecc. Avezzano
è tra le sparute città italiane ed europee, a essere nate con i marciapiedi e
gli alberi.
Hanno un senso profondo
quindi, le proteste degli ultimi due decenni contro il taglio degli alberi e
dei marciapiedi. Tutte, anche se non sono state all’altezza di quello che è
successo. Gli alberi e i marciapiedi hanno un valore particolare per noi
avezzanesi, assimilabile a quello per gli edifici, in qualche modo.
E’ stato un errore grossolano
perciò, il segare un albero (m’è sembrato sano, a giudicare dal tronco appena
tagliato) per metterci un busto dell’ultimo politico nostrano degno di nota. (Di
là del fatto che si tratta di un elemento – il busto – che è un residuo dei
secoli passati). E’ stata introdotta una lacuna nella piazza: si nota immediatamente
che il manufatto è estraneo alla cortina d’alberi – curatissima, tempo addietro.
Tale patrimonio è stato
dilapidato nel corso di un paio di generazioni, dall’élite che si sono avvicendate al potere – che si sono distinte per
ignoranza e sciatteria.
Bisogna continuare a mobilitarsi contro le trasformazioni
delle strade storiche: via G. Marconi, piazza del Risorgimento e il «tridente»
– corso della Libertà, via G. Garibaldi (quel che resta) e via del Montello
(quel che resta). C’è da dedicare dell’attenzione particolare anche ai due rami
locali della storica Tiburtina-Valeria e i resti della via che portava ad Alba Fucens (via G. Pagani, via don G.
Minzoni: hanno cancellato perfino il nome).
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