martedì 6 agosto 2013

Tuna Fish Promenade


Novantaquattro. E’ questo il numero delle piante che il Comune non ha ripiantato dopo il taglio o che ha dimenticato di piantare, dentro il Quadrilatero. Negli ultimi decenni, nonostante le promesse. Il numero è approssimato per difetto, nel senso che non ho conteggiato gli alberi malandati, quelli irrimediabilmente danneggiati; non ho inserito gli arbusti che qualche frontista ha piantato per proprio conto. (Non sono solo decine, come io ripeto da anni). Si nota il numero? E’ alto, basso, così-così?
Il Quadrilatero è la nuova Avezzano, rinata dopo il terremoto (1915), la «città giardino» proposta ai pochi reduci del triste evento e ai numerosissimi nuovi cittadini accorsi al tempo della ricostruzione. Era un posto pieno d’alberi, nel senso: che è stato riempito di piante dalle amministrazioni comunali.
Sono affiorati vecchi ricordi durante tale conteggio: alberi fatti abbattere o curati dai frontisti, alberi di cui s’è ormai persa ogni traccia. Interi filari scomparsi. Si è trattato di scorrere una storia collettiva dove s’incrociano necessità, fobie, esigenze, trip, fatterelli, contingenze, fissazioni singole e di gruppo con decisioni amministrative e politiche, più che riportare il numero dei «fusti» mancanti per ogni strada. Le ultime cinque amministrazioni – in particolar modo –, si sono abbandonate alle richieste (anche alle bislacche utopie, purtroppo) dei commercianti locali.
Un conto è parlare d’alberi ad Avezzano e un conto è parlare d’alberi a Roma, a Parigi, a Berlino, a Londra. Non è la stessa cosa. Noi possiamo intendercela con gli abitanti di Latina e Sabaudia – città fondate rispettivamente nel 1932 e nel 1934 –, quando si discute d’alberi ma non con i bolognesi, i viennesi, i madrileni ecc. Avezzano è tra le sparute città italiane ed europee, a essere nate con i marciapiedi e gli alberi.
Hanno un senso profondo quindi, le proteste degli ultimi due decenni contro il taglio degli alberi e dei marciapiedi. Tutte, anche se non sono state all’altezza di quello che è successo. Gli alberi e i marciapiedi hanno un valore particolare per noi avezzanesi, assimilabile a quello per gli edifici, in qualche modo.
E’ stato un errore grossolano perciò, il segare un albero (m’è sembrato sano, a giudicare dal tronco appena tagliato) per metterci un busto dell’ultimo politico nostrano degno di nota. (Di là del fatto che si tratta di un elemento – il busto – che è un residuo dei secoli passati). E’ stata introdotta una lacuna nella piazza: si nota immediatamente che il manufatto è estraneo alla cortina d’alberi – curatissima, tempo addietro.
Tale patrimonio è stato dilapidato nel corso di un paio di generazioni, dall’élite che si sono avvicendate al potere – che si sono distinte per ignoranza e sciatteria.
Bisogna continuare a mobilitarsi contro le trasformazioni delle strade storiche: via G. Marconi, piazza del Risorgimento e il «tridente» – corso della Libertà, via G. Garibaldi (quel che resta) e via del Montello (quel che resta). C’è da dedicare dell’attenzione particolare anche ai due rami locali della storica Tiburtina-Valeria e i resti della via che portava ad Alba Fucens (via G. Pagani, via don G. Minzoni: hanno cancellato perfino il nome).

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