mercoledì 22 gennaio 2014

Amplero ulteriore


Io ricordo in modo confuso giusto un paio di episodi legati alla vicenda Amplero, perciò scrivo della stessa con distacco alla luce degli ultimi avvenimenti. Il primo è una manifestazione alla Ferriera (Pescina) contro la captazione delle acque, il secondo è un’innocente passeggiata sopra Collelongo – a metà anni Ottanta – dove mi furono mostrate un paio di tombe italico-romane; «Volevano farci l’invaso, da queste parti», mi fu raccontato.
Negli ultimi trent’anni l’«impatto ambientale» è divenuto una procedura, sono stati affinati i metodi per conoscere lo stato di salute dei fiumi e messe all’opera le Autorità di bacino. Nonostante tutto ciò, si è ripreso a parlare da noi di vasconi per la raccolta dell’acqua: come mai? Provo a dare una spiegazione partendo dalla situazione nazionale.
Le Autorità di bacino entrano in azione alla fine degli anni Ottanta, mentre in Italia c’è una ripresa del tema federalista legato alla «tradizione inventata»: una situazione poco propizia. Come compito culturale, esse dovevano ammonirci circa la vischiosità e la frammentazione delle competenze nel nostro sistema amministrativo. I fiumi in Italia sono utilizzati come degli elementi lineari per separare regioni, province e comuni gli uni dagli altri: un modo cervellotico e il contrario di un bacino idrografico, dove l’acqua riunisce tutto ciò che si trova al suo interno (risorse naturali, attività umane, paesaggio artificiale, cultura). Un’efficace definizione di tale struttura spaziale, così recitava in quel tempo: «unità di analisi economico-ecologica».
Le Autorità di bacino hanno indubbiamente ridotto le manomissioni dei corsi d’acqua ma dovevano esprimere un’egemonia, indicare una direzione alle Amministrazioni locali. Non è avvenuto tutto ciò, purtroppo. L’attuale situazione di degrado idrogeologico è frutto di cinquant’anni di mancato restauro ambientale, di danneggiamento dei fiumi (prelievo d’acqua e materiale litoide, cementificazione degli argini – anche del letto –, ecc.), di un uso dissennato del suolo (lottizzazione, villaggio delle vacanze, shopping center). (Si è cementificato da matti lontano dai fiumi, ma sempre dentro i bacini).
Ho avuto a che fare con forme di «progettazione partecipata» all’università: essa aggiunge poco o niente a ciò che si sa. Nel nostro caso (intervista Aqua Piana del Fucino), sono rimossi dei dati che già conosciamo. È sufficiente consultare una cartina geologica, una mappa dei parchi e delle riserve naturali, i vincoli della Soprintendenza Baaas, il Piano paesaggistico (quando c’è), il Piano regolatore e poco altro volendo individuare un’area (qualsiasi) d’intervento presso uno dei comuni sparsi per la Penisola.
Le domande che ancora pongo sono: 1) quale (a livello ambientale) la ripercussione sul Giovenco, prelevando «circa» un mc/sec d’acqua presso Pescina? (È necessario conoscere le portate del fiume in questione per rispondere. Indica quanto – secondo la Regione – il termine «circa»? 0,9? 0,8 mc/sec?), 2) che cosa succederà alla località IDK, dopo che saranno costruiti un paio d’invasi spaziosi quanto dodici campi di calcio?

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