domenica 5 gennaio 2014

As time goes by 2


Noi pensiamo che in casi come questo richiedere un surplus d’indagini non vuol dire assolutamente intralciare il decorso delle opere pubbliche, aggiungendo delle analisi e degli [ulteriori studi] alle già difficili condizioni di realizzazione delle opere stesse (è noto a tutti come gli iter burocratici si mangino tempo e denaro), ma serve a integrare la fase progettuale con la corretta valutazione di una variabile (quella ambientale) di non poco conto, al fine di comprendere nella sua complessità quali sono le modificazioni che interverranno e quale potrà risultare l’assetto definitivo di un intervento di tale portata. Ciò a maggior ragione in quanto, i fatti hanno ripetutamente mostrato quali conseguenze hanno portato meri conteggi da ragioneria spicciola o valutazioni economiche di convenienza solo sul breve termine, senza cioè che si tenesse conto degli sviluppi e delle ripercussioni che si potevano avere nel futuro sull’intera collettività (il problema energetico e la scelta nucleare sono l’esempio [evidente] di tali indirizzi).
Da questo punto di vista dobbiamo purtroppo rilevare che nella relazione di supporto allo studio di fattibilità dell’invaso (relazione della IV divisione e del servizio agrario dell’[ex-Arssa]), soltanto nella prima [parte] si accenna a valutazioni fatte su basi ambientali ed ecologiche; valutazioni quantomeno riduttive e a dir poco grottesche se si pensa che la questione, [è] liquidata in poche righe dalle quali oltretutto traspare che le preoccupazioni sono da una parte di natura psicologica per gli abitanti della Valle del Giovenco che non vedrebbero più scorrere il loro fiume (quindi una portata minima deve pur rimanere, si dice, lasciando intendere che se non ci fosse questo impedimento si potrebbe pensare a captare tutta l’acqua…); dall’altra c’è da salvaguardare il notevole patrimonio ittico, come se la popolazione del Giovenco vivesse di pesca anziché di agricoltura. (2/7)

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