Noi pensiamo che in casi
come questo richiedere un surplus
d’indagini non vuol dire assolutamente intralciare il decorso delle opere
pubbliche, aggiungendo delle analisi e degli [ulteriori studi] alle già
difficili condizioni di realizzazione delle opere stesse (è noto a tutti come
gli iter burocratici si mangino tempo e denaro), ma serve a integrare la fase
progettuale con la corretta valutazione di una variabile (quella ambientale) di non poco conto, al fine
di comprendere nella sua complessità quali sono le modificazioni che
interverranno e quale potrà risultare l’assetto definitivo di un intervento di
tale portata. Ciò a maggior ragione in quanto, i fatti hanno ripetutamente
mostrato quali conseguenze hanno portato meri conteggi da ragioneria spicciola
o valutazioni economiche di convenienza solo sul breve termine, senza cioè che
si tenesse conto degli sviluppi e delle ripercussioni che si potevano avere nel
futuro sull’intera collettività (il problema energetico e la scelta nucleare
sono l’esempio [evidente] di tali indirizzi).
Da questo punto di vista
dobbiamo purtroppo rilevare che nella relazione di supporto allo studio di
fattibilità dell’invaso (relazione della IV divisione e del servizio agrario
dell’[ex-Arssa]), soltanto nella prima [parte] si accenna a valutazioni fatte
su basi ambientali ed ecologiche; valutazioni quantomeno riduttive e a dir poco
grottesche se si pensa che la questione, [è] liquidata in poche righe dalle
quali oltretutto traspare che le preoccupazioni sono da una parte di natura psicologica per gli abitanti
della Valle del Giovenco che non vedrebbero più scorrere il loro fiume (quindi
una portata minima deve pur rimanere, si dice, lasciando intendere che se non
ci fosse questo impedimento si potrebbe pensare a captare tutta l’acqua…);
dall’altra c’è da salvaguardare il notevole patrimonio ittico, come se la
popolazione del Giovenco vivesse di pesca anziché di agricoltura. (2/7)
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