È legittimo […] chiedersi
quali nella pratica saranno le ripercussioni sulle condizioni di mercato,
sull’occupazione, sull’incremento del reddito pro-capite, sullo sfruttamento
delle risorse (acqua, suolo, energia), sull’incremento della produttività sia a
monte e sia a valle dell’invaso soprattutto in rapporto ai costi della sua
realizzazione. È proprio a tal proposito che la relazione del servizio agrario
dell’[ex Arssa] mostra lacune e contraddizioni davvero gravi, soprattutto
quando si consideri che essa, sta a [sostenere] un progetto di tale portata, di
tale impatto ambientale ed economico e di tale costo.
Innanzitutto dobbiamo
costatare la mancanza totale di un’investigazione
sulla situazione economica della Valle del Giovenco e sulle eventuali ripercussioni
che si determinerebbero nella locale economia con la creazione dell’invaso in
questione, investigazione oltretutto, a parer nostro, necessaria al fine di
mitigare gli scompensi probabili e le perdite di carattere economico con degli
interventi preventivi che siano alternativi o quantomeno integrativi.
Riguardo poi all’analisi
vera e propria emerge che:
–
c’è un
problema di dissesto idrico per il Fucino con tutte le ripercussioni
immaginabili e alla base di questo dissesto appaiono avere un ruolo centrale le
coltivazioni a patate e bietole;
–
c’è un
problema di rottura dell’equilibrio agronomico e d’infestamento da parassiti
quali il nematode, ancora con rilevantissime responsabilità da parte della
quasi monocoltura a patata e barbabietola;
–
si parla di
colture alternative anche con fervore, visto tutto ciò, ma poi nella pratica
non se ne quantizza la possibile incidenza in termini di produzione e di
convenienza economica, prefigurando implicitamente l’insistenza in futuro sul
devastante ma redditizio modello patata-barbabietola.
Del resto, infatti, non si
dice [per nulla], che per alcune colture alternative (grano, mais) l’apporto
idrico è inferiore rispetto al modello barbabietola-patata e non se ne valuta
di conseguenza l’entità né si accenna alla diversa composizione dei terreni da
irrigare e alla possibile diversificazione dell’apporto d’acqua per le colture
ivi praticabili. Oltretutto le attuali norme comunitarie ci impongono un tetto
minimo per la produzione di patate, cosa che in pratica ha fatto valutare la
possibilità di smaltire la sovrapproduzione con investimenti a livello d’industrie
di trasformazione. (5/7)
Gentile Sig. Pantaleo
RispondiEliminaAttraverso le sue pubblicazioni sul "Martello" sono arrivato sul suo blog. Anche nelle riflessioni più private occorre utilizzare cautela altrimenti non solo ci si auto-convince di esprimere delle verità ma peggio si convincono altri che, poco attrezzati, disinformati o poco propensi ad ascoltare altre voci, assorbono acriticamente le verità professate. Il pezzo l'ha scritto qualche giorno fa ma per le affermazioni contenute potrebbe essere la ripubblicazione di qualche scritto di una decina di anni fa altrimenti non si spiegherebbe come mai si fa riferimento ad una coltura che nel fucino è scomparsa da circa 10 anni, a monoculture che tecnicamente non sono possibili sul nostro territorio, a inesistenti regolamenti comunitari che imporrebbero tetti minimi di produzione.
Cordiali saluti
Stefano Fabrizi
Direttore Confagricoltura L'Aquila
è conveniente riprendere dall'inizio:
Eliminahttp://avezzanoblu2.blogspot.it/2013/12/as-time-goes-by-0.html
Al dottor Fabrizi no la si fa così facilmente, ad egli nulla sfugge.... (fmb)
EliminaOddìo, non è sfuggito niente... Sta scritto un paio di volte che non sono l'autore (Atgb 0, Atgb 1 nota 2. E' anche riportata la data precisa (Atgb 0) e mi dispiace che non è stato compreso lo spirito della nuova pubblicazione (Atgb 0).
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