mercoledì 8 luglio 2015

F 4


È notevole un frammento tra la politica e l’ingegneria – nella patria di Niccolò Machiavelli: «Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe essere successivo all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. […] Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli […]. Bisogna abbandonare l’idea di “interventi” sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti interessate» (V, III, § 183). È da incorniciare, ha solo da apprendere il nostro ceto politico e intellettuale, ma non solo quello. (È mancata una visione collettiva in realtà, un altro posto dove andare in questi ultimi decenni).
Ricompare poi una vecchia ma non per questo logora bandiera degli ecologisti: «promuovere forme di risparmio energetico» (V, II, § 180). Sì, l’avevamo messa da parte dopo la vittoria al primo referendum anti-nucleare (1987); grazie per avercelo ricordato – insieme con altre cose passate troppo presto nel dimenticatoio.
Il pezzo più commovente, almeno per me: «È necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa” all’interno della città che ci contiene e ci unisce» (IV, III, § 151). È questa una brevissima e densa lezione d’architettura ma non solo, impartita agli spocchiosi nipotini di Borromini, Michelangelo e Bernini da un pretino sudamericano cresciuto tra la pampa e la favela. Chapeau!
Sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’apprendere qualcosa da una persona che fa altro nella vita e che scrive di certi argomenti per la prima volta. (Non m’intriga più di tanto in verità aggiungere un aggettivo al termine «ecologia»: è una scienza che non ho inventato io). Laudato si’ non cambierà il mio modo di vivere ma mi ha fatto intravedere alcune strade che non ho imboccato. È un buon documento che dovrebbe ricordarci qualcosa e anche aprire gli occhi a noi che viviamo nei paesi più (o ex-) industrializzati; si tratta di un testo impensabile negli ultimi due pontificati precedenti.
Ho capito verso la fine dell’enciclica che il modo di scrivere è del tipo che si rivolge a tutti – mentre noi siamo abituati a parlare ai quattro gatti che ci conoscono (bene).
Riporto per finire, un ultimo brano – per chi usa il Web come il sottoscritto e perciò confonde lavoro e tempo libero. «L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il significato» (VI, VI, § 237). (4/4)

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