È notevole un frammento tra
la politica e l’ingegneria – nella patria di Niccolò Machiavelli: «Uno studio
di impatto ambientale non dovrebbe essere successivo all’elaborazione di un
progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. […] Ma nel
dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si
interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli […]. Bisogna
abbandonare l’idea di “interventi” sull’ambiente, per dar luogo a politiche
pensate e dibattute da tutte le parti interessate» (V, III, § 183). È da
incorniciare, ha solo da apprendere il nostro ceto politico e intellettuale, ma
non solo quello. (È mancata una visione collettiva in realtà, un altro posto
dove andare in questi ultimi decenni).
Ricompare poi una vecchia
ma non per questo logora bandiera degli ecologisti: «promuovere forme di risparmio
energetico» (V, II, § 180). Sì, l’avevamo messa da parte dopo la vittoria al
primo referendum anti-nucleare (1987); grazie per avercelo ricordato – insieme
con altre cose passate troppo presto nel dimenticatoio.
Il pezzo più commovente,
almeno per me: «È necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e
i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza,
la nostra sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa” all’interno
della città che ci contiene e ci unisce» (IV, III, § 151). È questa una brevissima
e densa lezione d’architettura ma non solo, impartita agli spocchiosi nipotini di
Borromini, Michelangelo e Bernini da un pretino sudamericano cresciuto tra la pampa e la favela. Chapeau!
Sono rimasto piacevolmente
sorpreso dall’apprendere qualcosa da una persona che fa altro nella vita e che
scrive di certi argomenti per la prima volta. (Non m’intriga più di tanto in
verità aggiungere un aggettivo al termine «ecologia»: è una scienza che non ho
inventato io). Laudato si’ non
cambierà il mio modo di vivere ma mi ha fatto intravedere alcune strade che non
ho imboccato. È un buon documento che dovrebbe ricordarci qualcosa e anche
aprire gli occhi a noi che viviamo nei paesi più (o ex-) industrializzati; si
tratta di un testo impensabile negli ultimi due pontificati precedenti.
Ho capito verso la fine
dell’enciclica che il modo di scrivere è del tipo che si rivolge a tutti –
mentre noi siamo abituati a parlare ai quattro gatti che ci conoscono (bene).
Riporto per finire, un
ultimo brano – per chi usa il Web come il sottoscritto e perciò confonde lavoro
e tempo libero. «L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo
all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie
all’opera che si compie la cosa più importante: il significato» (VI, VI, § 237).
(4/4)
analisi interessantissima
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Grazie.
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