sabato 5 ottobre 2013

MP 1


C’è una concezione burocratica, catastale dello spazio nella vicenda del restyling in piazza del Mercato, oltre alla solita allergia nei confronti della storia locale.
Sono nato nella parte opposta dell’isolato che la chiude parzialmente a sud e l’ho frequentata nell’infanzia. Brulicava di venditori di frutta, verdura e ortaggi e di massaie nella mattinata mentre nel pomeriggio, era frequentata dai clienti delle cantine e dai ritardatari che si affrettavano nei negozi di generi alimentari e dei macellai. La vita riprendeva prima dell’alba, al Mercato coperto (ingrosso). Era la zona della città più frequentata al mattino.
Oggi non è più così: esso è un luogo scarsamente frequentato nella mattinata e deserto nel pomeriggio e la sera. (Diventa un parcheggio per automobili, dal pomeriggio). Come ci si è arrivati e perché è difficilmente raggiungibile l’obiettivo del sindaco, che propone il «ritorno al passato»?
Mi è capitato d’assistere alle lamentele della massaia che doveva spostarsi con la sporta altri 200 metri per recarsi dal fornaio o infiascare un po’ d’olio, durante l’infanzia. Mi meravigliavo durante l’adolescenza di gente che un tempo stava al mercato (venditore, trasportatore, facchino) e poi aveva aperto un negozio di frutta e verdura in un’altra parte della città o addirittura aveva cambiato lavoro.
Il boom economico è da collocarsi tra la mia infanzia e l’adolescenza, con il suo corollario fatto di crescita urbana e motorizzazione – anche le nuove tecnologie per la conservazione delle derrate alimentari. Il supermercato esaudiva il sogno delle massaie di trovare il mercato classico concentrato sotto un unico tetto e poi: prodotti per l’igiene della casa, olio, pane, latte, caffè e anche i surgelati. Il negoziante non riceveva più pubblici rimproveri poiché il banco poco più in là, vendeva le stesse sue mele a cinque o dieci lire di meno. Conveniva a moltissimi tale situazione e perciò si è affermata mettendo in ombra il mondo precedente.
Si può ripetere di piazza del Mercato lo stesso che della multisala Impero: più di metà della sua esistenza, è dominato dalla sua crisi.
Io ricordo d’essermi opposto con altri all’abbattimento del mercato coperto, all’inizio degli anni Ottanta; il taglio della protesta fu specificamente architettonico: significava sventrare e distruggere la chiusura della piazza il buttar giù un edificio del genere. (Giusto quello). Era in disarmo da alcuni anni, il sistema «piazza del Mercato». Non c’erano più cantine, negozi di generi alimentari e macellerie; pochi venditori, clienti e frequentatori. Il suo indotto era già sprofondato nei gorghi della storia. Non bisogna dimenticare che al tempo della mia infanzia, più di una persona che era occupata in qualche modo da quelle parti, abitava sulla stessa piazza o nei pressi; allo stesso modo, l’erbivendolo passava qualche ora del pomeriggio a bere, chiacchierare, fumare e giocare a carte nelle tre cantine. C’erano anche più abitanti lì, come nel restante Quadrilatero. Ho perciò un moto di sorpresa quando leggo di soluzioni «contrattate» in qualche maniera tra Comune e residenti.
(Il Martello del Fucino, 15 2013, v.o., 1/2)

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