C’è una
concezione burocratica, catastale dello spazio nella vicenda del restyling in piazza del Mercato, oltre
alla solita allergia nei confronti della storia locale.
Sono nato nella
parte opposta dell’isolato che la chiude parzialmente a sud e l’ho frequentata
nell’infanzia. Brulicava di venditori di frutta, verdura e ortaggi e di massaie
nella mattinata mentre nel pomeriggio, era frequentata dai clienti delle
cantine e dai ritardatari che si affrettavano nei negozi di generi alimentari e
dei macellai. La vita riprendeva prima dell’alba, al Mercato coperto (ingrosso).
Era la zona della città più frequentata al mattino.
Oggi non è più
così: esso è un luogo scarsamente frequentato nella mattinata e deserto nel
pomeriggio e la sera. (Diventa un parcheggio per automobili, dal pomeriggio). Come
ci si è arrivati e perché è difficilmente raggiungibile l’obiettivo del
sindaco, che propone il «ritorno al passato»?
Mi è capitato
d’assistere alle lamentele della massaia che doveva spostarsi con la sporta
altri 200 metri per recarsi dal fornaio o infiascare un po’ d’olio, durante
l’infanzia. Mi meravigliavo durante l’adolescenza di gente che un tempo stava
al mercato (venditore, trasportatore, facchino) e poi aveva aperto un negozio
di frutta e verdura in un’altra parte della città o addirittura aveva cambiato
lavoro.
Il boom economico è da collocarsi tra la
mia infanzia e l’adolescenza, con il suo corollario fatto di crescita urbana e
motorizzazione – anche le nuove tecnologie per la conservazione delle derrate
alimentari. Il supermercato esaudiva il sogno delle massaie di trovare il
mercato classico concentrato sotto un unico tetto e poi: prodotti per l’igiene
della casa, olio, pane, latte, caffè e anche i surgelati. Il negoziante non riceveva
più pubblici rimproveri poiché il banco poco più in là, vendeva le stesse sue mele
a cinque o dieci lire di meno. Conveniva a moltissimi tale situazione e perciò
si è affermata mettendo in ombra il mondo precedente.
Si può ripetere
di piazza del Mercato lo stesso che della multisala Impero: più di metà della
sua esistenza, è dominato dalla sua crisi.
Io ricordo
d’essermi opposto con altri all’abbattimento del mercato coperto, all’inizio
degli anni Ottanta; il taglio della protesta fu specificamente architettonico:
significava sventrare e distruggere la chiusura della piazza il buttar giù un
edificio del genere. (Giusto quello). Era in disarmo da alcuni anni, il sistema
«piazza del Mercato». Non c’erano più cantine, negozi di generi alimentari e
macellerie; pochi venditori, clienti e frequentatori. Il suo indotto era già sprofondato
nei gorghi della storia. Non bisogna dimenticare che al tempo della mia
infanzia, più di una persona che era occupata in qualche modo da quelle parti,
abitava sulla stessa piazza o nei pressi; allo stesso modo, l’erbivendolo
passava qualche ora del pomeriggio a bere, chiacchierare, fumare e giocare a
carte nelle tre cantine. C’erano anche più abitanti lì, come nel restante
Quadrilatero. Ho perciò un moto di sorpresa quando leggo di soluzioni «contrattate»
in qualche maniera tra Comune e residenti.
(Il Martello del Fucino, 15 2013, v.o.,
1/2)
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