Prendo materia fresca per
meglio chiarire una faccenda di cui mi occupo da decenni. Nel volgere di una
settimana ho notato per tre volte in Abruzzo l’uso della locuzione «aree
interne» nelle rivendicazioni. È successo tutto ciò due volte in provincia di
L’Aquila, mentre la terza in quella di Pescara. (Escludo la terza tirando in
ballo la geografia, anche se sarebbe interessante capirne i motivi reconditi e
perciò i legami con le precedenti).
Da chi è stata pronunciata
nei casi citati? Da uomini politici, da amministratori della cosa pubblica. Mi
fido poco in generale di costoro – quelli delle zone interne in particolare – perché
loro, nella loro funzione di mediatori, hanno maggiormente da guadagnare quando
le cose rimangono così come sono più che dai cambiamenti. Sento parlare da
decenni di riequilibrio delle aree interne ma tutto ciò resta ancora lontano –
o meglio, imperscrutabile; ci si accontenta invece di un minuscolo poltronificio,
uno strapuntino qua e uno là. Un conto è la lamentela rituale un altro è
pensare una strategia per l’avvenire a uso delle aree interne: può richiedere
anche lo scontro aspro con chi si trova da sempre in posizione di supremazia.
Ho scritto in precedenza che nell’Abruzzo interno si avrebbero problemi anche a
costituire uno schieramento del genere – resta capoluogo di Regione, L’Aquila e
perciò non può combattere contro se stessa.
Non si possiede né
intelligenza politica né si è dei cuor di leone sugli Appennini.
(È andato anche il buon
Gualtiero Marchesi).
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