giovedì 5 luglio 2018

This is not America 3

Ho eliminato dal precedente post la mia solita domanda: perché – in un rigurgito di onestà intellettuale – non chiudono i corsi e le facoltà di storia nelle università italiane, calcolando che il loro lavoro è pochissimo o per niente apprezzato dai connazionali? Mi trattengo da quelle parti.
Alla fine di maggio c’era nell’aria qualcosa di pesante sulla facoltà di Giurisprudenza. Agli inizi di giugno è uscito un pezzo sull’esiguo numero degli immatricolati in quella facoltà (Il Centro). Sorgeva spontanea una domanda, dopo una simile lettura: «Vale la pena tirare fuori tanti nostri quattrini per così pochi studenti?». Se n’è parlato pochissimo in giro; è poi da segnalare un incontro tra il nostro sindaco e il rettore di Teramo alla metà del mese, in cui il primo cittadino ha affermato: «a fronte di costi elevati e certi, i benefici sono incerti per il territorio, pure considerato il continuo calo nel numero degli iscritti» (Centralmente 14 giugno 2018; sono miei i grassetti).
Ho anche apprezzato la lettera aperta a Gabriele De Angelis di Stefano Fabrizi (Confagricoltura); sono particolarmente d’accordo con lui su questo brano: «Se l’Università è una questione economica per le famiglie questa non è una buona ragione per aprire centinaia di sedi distaccate che, insieme anche a quelle on line, sviliscono la didattica, la ricerca e dequalificano ulteriormente la preparazione degli studenti», 16 giugno 2018. Il nocciolo della questione in realtà è: perché a un certo momento della storia italiana spuntano fuori le università decentrate? (Chi vive in periferia generalmente ignora i motivi per cui un governo porta avanti una determinata politica).
Stavolta si è acceso un briciolo di dibattito con forti connotati provinciali – in genere s’improvvisa sul tema «Università»; ci si è al solito divisi tra i sostenitori di De Angelis e quelli di Di Pangrazio, tralasciando di rispondere – laicamente – alla domanda che girava tra gli avezzanesi già dal 5 giugno: è conveniente mantenere la facoltà di Giurisprudenza ad Avezzano?
(Hors Catégorie). Mario Pisotta: «Il corso di Giurisprudenza di Teramo è rinomato anche e soprattutto per i suoi docenti di fama internazionale e sono gli stessi di Avezzano», in R. Placida, Università di Avezzano. Fabrizi (Confagricoltura): «Dibattito strabico». Mario Pisotta (studenti): «Battaglia di civiltà», in «MarsicaWeb» 16 giugno 2018. Consiglio anche a voi di provare a rintracciare «Teramo» nella top-ten delle migliori facoltà italiane di Giurisprudenza – nel senso: classifica Censis-LaRepubblica.it 2017. (Teramo, tra l’altro, è classificata dal Censis «piccolo ateneo»). Prima invece si leggeva: «se la sede universitaria diventasse appetibile, l’indotto economico sarebbe notevole. Pensiamo a tutte le attività commerciali che potrebbero puntare su una clientela… “universitaria”: negozi bar, ristoranti e locali notturni». Che è come dire: una saldatura tra la mentalità bacata dei nonni e quella dei nipoti, la riproposizione tout court del classico modello L’Aquila, la città degli affittacamere.
Giocherellando nel web ho conosciuto il numero degli italiani che, per motivi economici, rinunciano alle analisi di laboratorio, alle cure mediche e anche alle medicine: una cifra a sette zeri.
Sha la la la la’.

P.S. (A proposito del capoluogo regionale). L’operazione Gran Sasso Science Institute è stata, sicuramente, un colpo da maestro.

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