(Mi porto avanti con il «lavoro», autonomamente).
Nei giorni seguenti più di uno si è arrabbiato per un intervento di Mario Casale
(LeU), mentre il sottoscritto ha tenuto d’occhio soprattutto quello
dell’opposizione in consiglio comunale (15 settembre). Parto dal secondo.
Lo sperimentato duo Verdecchia-Di
Berardino precisa alcune cose riguardo alla pista ciclabile in via di
costruzione. È pressoché irreprensibile da un punto di vista formale, ma da quello
politico no. (Io avrei glissato, durante
la realizzazione dell’opera, circa i presunti «danni ai commercianti»:
aspettiamo la fine dei lavori, poi ancora un anno, e da quel momento confronteremo
i dati, non i visi imbronciati o
certe «informazioni». Anche lo spostamento del mercato). Ad Avezzano si è
discusso talmente poco e male di mobilità sostenibile, da accettare qualsiasi provvedimento
in tal senso, di là della sua bontà, efficacia. Poco è meglio di niente. (È applicabile anche ad altri campi questo
vecchio proverbio. È tutto dire, utilizzare la conoscenza del popolo in un’epoca
dominata dalla scienza). Il fatto che vi siano ancora delle persone che
chiedono di recuperare i duecento parcheggi spariti con la pista ciclabile,
dimostra quanto costoro siano rimasti fermi al tempo andato: determinate
misure, servono a cambiare le abitudini della gente. Isole pedonali e piste
ciclabili, nel momento storico in cui viviamo, servono a sottrarre spazio al traffico motorizzato, sono altrimenti inutili.
Dallo scorso 17 luglio, è facile
incrociare il termine «pericolo» associato al cordolo della pista ciclabile e
Casale è solo l’ultimo a utilizzarlo. Non m’interessa comunicare emozioni di
sorta, da un blog, a me importa se un’opera è a norma o se invece presenta una o più difformità, criticità; la
manfrina sul cordolo è in realtà diretta contro tutta la pista ciclabile ricadente nel centro, non la vogliono e
basta – neanche se separata da una semplice striscia continua. Ha scritto: «una
pista ciclabile che è un vero e proprio inno alle barriere architettoniche», 15
settembre 2018. Dovrebbe bastare questo – controlli ciascuno per conto proprio:
«4. La larghezza dello spartitraffico fisicamente
invalicabile che separa la pista ciclabile in sede propria dalla carreggiata
destinata ai veicoli a motore, non deve essere inferiore a 0,50 m», dm 30 novembre 1999, n.
557, art. 7. Casale parla dei commercianti poco più avanti: «stavolta a ragione,
protestano per l’abolizione di oltre 300 parcheggi». Ecco, per quanto scritto
in precedenza, non si doveva assistere a polemiche di sorta nemmeno per
l’eliminazione di 400 o 500 parcheggi, altro che ragione. L’ex-sindacalista sfodera
anche lui all’argomento della scarsa democrazia – da parte del sindaco – nella
decisione delle piste ciclabili. Parliamoci chiaro: perché, in un caso del
genere, gli altri eletti (democraticamente ci mancherebbe) dal popolo non
l’hanno sfiduciato alla prima occasione? La vicenda è cominciata lo scorso 24
maggio, sono passati poco meno di quattro mesi.
(Seguono dei pettegolezzi
che potete saltare). Le persone appena citate, hanno fatto parte di amministrazioni
legate rispettivamente a Di Pangrazio e Spallone. L’unica cosa che si può in
qualche modo legare alla mobilità sostenibile durante la prima, è stata… lo
smantellamento di un pezzo di cordolo, nella pista ciclabile nord, lungo via F.
Parri. Sonno profondo o semplice disinteresse durato cinque anni – è ozioso
girarci intorno. (Quando fu tagliata una pianta e perciò interrotto il filare di via C. Corradini, per
piazzarci il busto celebrativo, io chiesi su questo blog: «si poteva fare
un’operazione del genere? No, secondo me – almeno dopo aver letto la Legge
regionale n. 12 (28 maggio 2013), art. 6, c. 2», 22 luglio 2013. L’albero era
stato capitozzato da poco – l’11 giugno). Passo all’altro. Mario Spallone
invece si è comportato al contrario
di quanto sarebbe stato auspicabile, ricavando oltre mille parcheggi nel
Quadrilatero, quattro anni dopo Agenda 21
(Onu, 1992), con il Protocollo di Kyoto
alle porte. (2/3bis)
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