venerdì 9 novembre 2018

on demand bis

Quest’altra andava invece sdrammatizzata, dall’inizio. Un politico italiano di primo piano se ne esce con un imprecisato «ambientalismo da salotto» e qualcuno si arrabbia, anche da noi in provincia. Un noto meteorologo considera: «Ora c’è questa volontà di complottismo, come nel caso delle scie chimiche che non hanno nessun supporto scientifico e che sono una bufala. Però questa tendenza è comoda. Quello è l’ambientalismo da salotto di cui parla Salvini, quello è l’ambientalismo dannoso», in G. Ruccia, Ambiente, Mercalli: “M5s? Ottimo programma. L’ambientalismo da salotto è quello dei complottisti”, in «IlFattoQuotidiano» 7 novembre 2018.
Bene: 1) un politico si rivolge generalmente o direttamente al suo pubblico, a un target stabilito in anticipo; 2) gli ambientalisti hanno anche loro dei riferimenti, sicuramente diversi da quanti sono impegnati nella politica. In gioventù, io mi sarei preoccupato molto più di un giudizio così-così su me stesso emesso da Marcello Cini o un altro personaggio della stessa caratura che di quello molto negativo – ancora sul sottoscritto – di un qualsiasi pubblico amministratore, politicante o giornalista. Figurarsi oggi. (Un qualsiasi assessore, un parlamentare, un ministro ha molti poteri ma non può firmare che so, una perizia, una consulenza, un progetto: è necessario un tecnico. Sono sistemi, piani, «parrocchie» diverse ed è perciò utile non prendere troppo seriamente ciò che proviene dall’esterno – mai offendere, per carità).
Ho perciò ritrovato questo: «Il bosco vive e deve essere curato e il greto del torrente dragato», in Maltempo, Salvini contro ambientalisti da salotto: “Se non tocchi l’alberello e non draghi il fiume la natura presenta il conto”, in «IlFattoQuotidiano» 4 novembre 2018.
Scrivo semplicemente che non l’ha raccontata giusta, quel personaggio. (Già rimosso, dimenticato l’annoso dibattito italiano, internazionale sugli effetti del global warming?). Rimando ai comunicati di Federforeste degli ultimi anni considerando la loro circolazione: possiamo farci un’idea dei boschi italiani leggendone due o tre. Riprendo invece questo: «il greto del torrente [dev’essere] dragato». È stato sempre così? No, vi sono stati scarsi problemi di manutenzione fino al secolo scorso, periodo in cui hanno avuto inizio in Italia interventi massicci lungo i corsi d’acqua che hanno innescato delle catastrofi cui tuttora assistiamo. Dobbiamo dragare oggi soprattutto per via delle numerose briglie e sbarramenti costruiti nel Novecento, che trattengono ramaglie e materiale litoide nella loro discesa verso la foce. Scendo ancora sul concreto. Un ambientalista scrive un comunicato feroce non quando è ripescato un ramo secco, bensì quando un ente pubblico fa eliminare la vegetazione lungo le sponde di un fiume: è tutt’altro, entrando in ballo quel particolare ecosistema. Un ambientalista sbrocca nel sapere che i sassi prelevati a ridosso di una briglia, finiscono nell’impasto di qualche nuova costruzione anziché nel letto dello stesso corso d’acqua. (È immaginabile che, chi recupera i sassi dal greto di un fiume, prelevi da quelle parti anche la sabbia – ancora per uso edilizio). Il dragaggio dei fiumi italiani, per decenni, ha spesso aggravato la preesistente situazione di dissesto idrogeologico.

Per capirsi nuovamente, dopo lo scampato pericolo della nostra legge cosiddetta ammazza-fiumi. Posso fare qualsiasi uso di qualche vecchio ramo ripescato, mentre devo prestare la massima attenzione al materiale litoide: esso va semplicemente spostato a valle del manufatto che l’ha frenato; ci penserà l’acqua a spostarlo fino al prossimo ostacolo costruito dall’uomo negli ultimi decenni. (Un ambientalista apprende tutto ciò in un’aula universitaria, leggendo dei libri nel proprio studio, ascoltando qualcuno – prendendo appunti – in una sala conferenze). Certo, viviamo brutti tempi. (2/2)

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