Quest’altra andava invece
sdrammatizzata, dall’inizio. Un politico italiano di primo piano se ne esce con
un imprecisato «ambientalismo da salotto» e qualcuno si arrabbia, anche da noi
in provincia. Un noto meteorologo considera: «Ora c’è questa volontà di complottismo, come nel caso delle scie chimiche che non hanno nessun
supporto scientifico e che sono una bufala.
Però questa tendenza è comoda.
Quello è l’ambientalismo da salotto
di cui parla Salvini, quello è l’ambientalismo dannoso», in G. Ruccia, Ambiente, Mercalli: “M5s? Ottimo programma. L’ambientalismo da salotto è quello
dei complottisti”, in «IlFattoQuotidiano» 7 novembre 2018.
Bene: 1) un politico si rivolge
generalmente o direttamente al suo pubblico,
a un target stabilito in anticipo; 2)
gli ambientalisti hanno anche loro dei riferimenti,
sicuramente diversi da quanti sono impegnati nella politica. In gioventù, io mi
sarei preoccupato molto più di un giudizio così-così su me stesso emesso da
Marcello Cini o un altro personaggio della stessa caratura che di quello molto
negativo – ancora sul sottoscritto – di un qualsiasi pubblico amministratore,
politicante o giornalista. Figurarsi oggi. (Un qualsiasi assessore, un
parlamentare, un ministro ha molti poteri ma non può firmare che so, una
perizia, una consulenza, un progetto: è necessario un tecnico. Sono sistemi, piani,
«parrocchie» diverse ed è perciò utile non prendere troppo seriamente ciò che
proviene dall’esterno – mai offendere, per carità).
Ho perciò ritrovato questo: «Il bosco
vive e deve essere curato e il greto del torrente dragato», in Maltempo, Salvini contro ambientalisti da
salotto: “Se non tocchi l’alberello e non draghi il fiume la natura presenta il
conto”, in «IlFattoQuotidiano» 4 novembre 2018.
Scrivo semplicemente che non l’ha
raccontata giusta, quel personaggio. (Già rimosso, dimenticato l’annoso
dibattito italiano, internazionale sugli effetti del global warming?). Rimando ai comunicati di Federforeste degli
ultimi anni considerando la loro circolazione: possiamo farci un’idea dei
boschi italiani leggendone due o tre. Riprendo invece questo: «il greto del
torrente [dev’essere] dragato». È stato sempre
così? No, vi sono stati scarsi problemi di manutenzione fino al secolo scorso,
periodo in cui hanno avuto inizio in Italia interventi massicci lungo i corsi
d’acqua che hanno innescato delle
catastrofi cui tuttora assistiamo. Dobbiamo dragare oggi soprattutto per via
delle numerose briglie e sbarramenti costruiti nel Novecento, che trattengono
ramaglie e materiale litoide nella loro
discesa verso la foce. Scendo ancora sul concreto. Un ambientalista scrive
un comunicato feroce non quando è ripescato un ramo secco, bensì quando un ente
pubblico fa eliminare la vegetazione lungo le sponde di un fiume: è tutt’altro,
entrando in ballo quel particolare ecosistema. Un ambientalista sbrocca nel
sapere che i sassi prelevati a ridosso di una briglia, finiscono nell’impasto
di qualche nuova costruzione anziché nel
letto dello stesso corso d’acqua. (È immaginabile che, chi recupera i sassi
dal greto di un fiume, prelevi da quelle parti anche la sabbia – ancora per uso
edilizio). Il dragaggio dei fiumi italiani, per decenni, ha spesso aggravato la
preesistente situazione di dissesto idrogeologico.
Per capirsi nuovamente, dopo lo
scampato pericolo della nostra legge cosiddetta ammazza-fiumi. Posso fare
qualsiasi uso di qualche vecchio ramo ripescato, mentre devo prestare la
massima attenzione al materiale litoide: esso va semplicemente spostato a valle
del manufatto che l’ha frenato; ci penserà l’acqua a spostarlo fino al prossimo
ostacolo costruito dall’uomo negli
ultimi decenni. (Un ambientalista apprende tutto ciò in un’aula universitaria, leggendo
dei libri nel proprio studio, ascoltando qualcuno – prendendo appunti – in una
sala conferenze). Certo, viviamo brutti tempi. (2/2)
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