«Come sta cambiando Avezzano?». Quando
qualcuno mi pone questa domanda, si riferisce alle reazioni inaspettate, da
parte dei compaesani, difronte ai recenti restauri e restyling. Una volta su tre non rispondo ma tiro fuori lo
spopolamento della nostra regione, che si fa sentire anche ad Avezzano, seppur
in modo marginale. (È un po’ diverso per il circondario e dovremmo preoccuparci
un po’, attraendo da svariati decenni residenti dal resto della Marsica). Sono
sbottato di recente con: «Come fa a riprendersi l’edilizia ad Avezzano se ne
siamo sempre meno e perciò, servono meno abitazioni?». La questione principale anche da noi è quella; non
se ne parla perché tace la politica (per via dei suoi tempi stretti, per
sciatteria) e perciò, anche le testate giornalistiche locali. Io pubblico
qualcosa su quell’argomento di quando in quando, attingendo da IlCentro (Pescara), AbruzzoWeb (L’Aquila) e CorrierePeligno
(Sulmona – 24mila abitanti).
Ho citato recentemente un paio di
novità di cui si è parlato pochissimo o niente: un gruppo che vuol organizzare
delle critical mass e una dozzina di
esercenti favorevoli allo spostamento del mercato settimanale. (Critical mass è una pratica ai limiti
della legalità, se attuata con tutti i crismi; me ne auguro una ogni mese ma fatta
bene). Mi ha sorpreso – è un fatto personalissimo – anche l’alto numero di
cicche gettate in un posacenere di piazza A. Torlonia (area smoking). Non è stato cerchiobottismo il
mio riconoscere che quelli che non raccolgono le cacche dei propri cani sono
un’infima minoranza; non potrebbe essere altrimenti: basta farsi due conti. Sta
cambiando la mentalità degli
avezzanesi, dopo tutto ciò? Non ne ho un’idea; e poi: spendo una parte del mio
tempo proprio a dimostrare che da noi vi sono 42mila modi diversi di pensare e perciò mi curo – cum grano salis – delle realtà associate
(partiti, sindacati, associazioni di vario genere).
(‘Piove, governo ladro!’). Ho scritto
molto sugli alberi, nei mesi scorsi; ho raccontato vicende delle mie parti
negli ultimi anni, anche fatti miei. (Sono stato malamente rimbrottato da una
testata per questo, in fondo). Quando si nota un ramo a terra, è abitudine prenderla
con l’Amministrazione comunale, per default ad Avezzano. Un conto è il
grosso ramo di una pianta con una novantina d’anni sulle spalle, un altro è il
rametto di una cinquantina di centimetri appartenente a una pianticina, alta quattro
metri al massimo e soprattutto giovane. I rami cadono generalmente (oltre che
per malattia, vecchiaia) in caso di vento forte, pioggia persistente – ne
abbiamo avuto un ottimo esempio in occasione del flash flood nello scorso 29 ottobre –, e violenta grandinata; ad
Avezzano succede invece che piccoli e medi rami situati a un’altezza di un paio
di metri o poco più, si trovano al suolo preferibilmente nelle calde notti (di
giorni assolati) dei week end estivi
– meglio, tra sabato e domenica. Aggiungo che i rami più lunghi fanno –
giustamente – notizia rispetto a quelli più corti che, però, sono la larga
maggioranza di quelli che si trovano comunemente a terra. È bene prenderla con
il Comune nel primo caso – è anche una
questione di dimensione. (Come la mettiamo con i fusticini spezzati a una certa
altezza?)
Mi chiedo adesso: perché non andare a spiegare
– da parte di chi pubblica e di chi sottoscrive certi fatti – a una qualsiasi
facoltà di Scienze (forestali, agrarie, biologiche, naturali) come e perché le
piante, i rami degli alberi di ottanta, novant’anni e passa, sono essi sicuramente
meno fragili di quelli che non
raggiungono nemmeno un terzo della loro bella età?
(Stavolta sono io a chiedere: stanno
migliorando o peggiorando gli avezzanesi?)
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