sabato 3 novembre 2018

Radio Bar(i) 11

«Come sta cambiando Avezzano?». Quando qualcuno mi pone questa domanda, si riferisce alle reazioni inaspettate, da parte dei compaesani, difronte ai recenti restauri e restyling. Una volta su tre non rispondo ma tiro fuori lo spopolamento della nostra regione, che si fa sentire anche ad Avezzano, seppur in modo marginale. (È un po’ diverso per il circondario e dovremmo preoccuparci un po’, attraendo da svariati decenni residenti dal resto della Marsica). Sono sbottato di recente con: «Come fa a riprendersi l’edilizia ad Avezzano se ne siamo sempre meno e perciò, servono meno abitazioni?». La questione principale anche da noi è quella; non se ne parla perché tace la politica (per via dei suoi tempi stretti, per sciatteria) e perciò, anche le testate giornalistiche locali. Io pubblico qualcosa su quell’argomento di quando in quando, attingendo da IlCentro (Pescara), AbruzzoWeb (L’Aquila) e CorrierePeligno (Sulmona – 24mila abitanti).
Ho citato recentemente un paio di novità di cui si è parlato pochissimo o niente: un gruppo che vuol organizzare delle critical mass e una dozzina di esercenti favorevoli allo spostamento del mercato settimanale. (Critical mass è una pratica ai limiti della legalità, se attuata con tutti i crismi; me ne auguro una ogni mese ma fatta bene). Mi ha sorpreso – è un fatto personalissimo – anche l’alto numero di cicche gettate in un posacenere di piazza A. Torlonia (area smoking). Non è stato cerchiobottismo il mio riconoscere che quelli che non raccolgono le cacche dei propri cani sono un’infima minoranza; non potrebbe essere altrimenti: basta farsi due conti. Sta cambiando la mentalità degli avezzanesi, dopo tutto ciò? Non ne ho un’idea; e poi: spendo una parte del mio tempo proprio a dimostrare che da noi vi sono 42mila modi diversi di pensare e perciò mi curo – cum grano salis – delle realtà associate (partiti, sindacati, associazioni di vario genere).
(‘Piove, governo ladro!’). Ho scritto molto sugli alberi, nei mesi scorsi; ho raccontato vicende delle mie parti negli ultimi anni, anche fatti miei. (Sono stato malamente rimbrottato da una testata per questo, in fondo). Quando si nota un ramo a terra, è abitudine prenderla con l’Amministrazione comunale, per default ad Avezzano. Un conto è il grosso ramo di una pianta con una novantina d’anni sulle spalle, un altro è il rametto di una cinquantina di centimetri appartenente a una pianticina, alta quattro metri al massimo e soprattutto giovane. I rami cadono generalmente (oltre che per malattia, vecchiaia) in caso di vento forte, pioggia persistente – ne abbiamo avuto un ottimo esempio in occasione del flash flood nello scorso 29 ottobre –, e violenta grandinata; ad Avezzano succede invece che piccoli e medi rami situati a un’altezza di un paio di metri o poco più, si trovano al suolo preferibilmente nelle calde notti (di giorni assolati) dei week end estivi – meglio, tra sabato e domenica. Aggiungo che i rami più lunghi fanno – giustamente – notizia rispetto a quelli più corti che, però, sono la larga maggioranza di quelli che si trovano comunemente a terra. È bene prenderla con il Comune nel primo caso – è anche una questione di dimensione. (Come la mettiamo con i fusticini spezzati a una certa altezza?)
Mi chiedo adesso: perché non andare a spiegare – da parte di chi pubblica e di chi sottoscrive certi fatti – a una qualsiasi facoltà di Scienze (forestali, agrarie, biologiche, naturali) come e perché le piante, i rami degli alberi di ottanta, novant’anni e passa, sono essi sicuramente meno fragili di quelli che non raggiungono nemmeno un terzo della loro bella età?

(Stavolta sono io a chiedere: stanno migliorando o peggiorando gli avezzanesi?)

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