Mi è
capitato di ribattere provocatoriamente a chi imputa il (presunto) calo delle
vendite nei saldi invernali alla pista ciclabile nel centro, che ciò è invece
dovuto al calo di popolazione e perciò di clienti: sarà almeno così, nei
prossimi tre decenni. Non ho ragione io ovviamente, ma nemmeno i miei
interlocutori perché la situazione è più complessa in entrambi i casi e non
solo perché evito di aggiungere che il mio ragionamento è a scala
comprensoriale.
La base da
cui parto è costituita da nudi e scarsamente attraenti dati o proiezioni
pubblicate dall’Istat nei mesi passati, mentre gli altri fondano generalmente
le loro convinzioni sulle emozioni indotte dai comunicati-stampa, le
chiacchiere al bar o al negozio, le espressioni facciali. Le fredde cifre, nel
caso di Avezzano, lasciano il tempo che trovano per la loro debolezza
comunicativa: chi vuoi si accorga che in una cittadina di 42mila abitanti e
dispersa in vari brandelli, ne mancano nemmeno cinquanta nel giro di tre anni?
È invece diverso per la stessa cinquantina, nello stesso arco temporale, in un
paese compatto di 4-5mila abitanti, dove ci si conosce all’incirca tutti. La
questione nel secondo caso è: perché non se ne parla mai? Anche: perché non se
ne tratta nei singoli comuni, nelle varie aree che costituiscono il
comprensorio? Non se ne discute perché ogni piccolo paesino è concentrato sul
proprio campanile, com’è da secoli; è esclusa a priori l’ipotesi che quel luogo possa spopolarsi e rimosso il
fatto del numero dei residenti diminuito, l’età media della popolazione
innalzata. Il capoluogo marsicano, da parte sua, dovrebbe porsi ugualmente
degli interrogativi per aver drenato negli ultimi decenni dei nuovi residenti
proprio dal circondario e attira tuttora una cospicua massa di clienti per i
suoi numerosi negozi, studi professionali, locali e laboratori artigiani. (È
bene citare anche l’ospedale, le scuole superiori e il tribunale). È questa
solo una prova per dimostrare quanto sia superficiale, da decenni, l’uso locale
del termine «territorio» e delle locuzioni «Marsica Orientale» e «Marsica
Occidentale».
È iniziata
in ritardo la campagna elettorale per le prossime Regionali e nessuno, finora,
ha posto il problema dello spopolamento dell’Abruzzo – oltre 3mila abitanti l’anno. Spulciando i
dati, spicca anche l’alta percentuale dei
nostri laureati che abbandona la regione. È stato invece proposto il solito
canovaccio agli elettori; i leader
politici – anche nazionali – si sono prodotti in delle improvvisazioni immersi
nel fondale di qualche situazione che funziona. Hanno evitato di farsi
fotografare, che so, davanti a una casa ancora non ricostruita o demolita dopo
il terremoto nell’Aquilano del 2009, il piazzale di una fabbrica con i suoi
dipendenti in cassa integrazione o una strada interrotta da una frana.
Comprendo che per molti tale tema può essere considerato non al primo posto
come per il sottoscritto, ma tra la prima, la seconda o la terza posizione e il
fuori classifica ce ne passa. Quale ripresa si propone per l’Abruzzo se gli
attori principali o almeno i soggetti privilegiati – i giovani –, continuano ad
abbandonarla? Ponendo nei territori la questione del lento ma inesorabile calo
di popolazione, i partiti (vecchi, nuovi, emergenti) e le liste elettorali sarebbero
costrette a trattarla, in qualche maniera, nelle varie sedi. (Nella scelta del
governatore di Regione, tra l’altro, c’entra meno – seppur di poco – il
clientelismo rispetto all’elezione del sindaco: vi è più spazio per il voto
d’opinione).
(Il Martello del Fucino, 2 2019, v.o.)
Nessun commento:
Posta un commento