mercoledì 17 aprile 2019

Povero tempo nostro

Mi è capitato di ribattere provocatoriamente a chi imputa il (presunto) calo delle vendite nei saldi invernali alla pista ciclabile nel centro, che ciò è invece dovuto al calo di popolazione e perciò di clienti: sarà almeno così, nei prossimi tre decenni. Non ho ragione io ovviamente, ma nemmeno i miei interlocutori perché la situazione è più complessa in entrambi i casi e non solo perché evito di aggiungere che il mio ragionamento è a scala comprensoriale.
La base da cui parto è costituita da nudi e scarsamente attraenti dati o proiezioni pubblicate dall’Istat nei mesi passati, mentre gli altri fondano generalmente le loro convinzioni sulle emozioni indotte dai comunicati-stampa, le chiacchiere al bar o al negozio, le espressioni facciali. Le fredde cifre, nel caso di Avezzano, lasciano il tempo che trovano per la loro debolezza comunicativa: chi vuoi si accorga che in una cittadina di 42mila abitanti e dispersa in vari brandelli, ne mancano nemmeno cinquanta nel giro di tre anni? È invece diverso per la stessa cinquantina, nello stesso arco temporale, in un paese compatto di 4-5mila abitanti, dove ci si conosce all’incirca tutti. La questione nel secondo caso è: perché non se ne parla mai? Anche: perché non se ne tratta nei singoli comuni, nelle varie aree che costituiscono il comprensorio? Non se ne discute perché ogni piccolo paesino è concentrato sul proprio campanile, com’è da secoli; è esclusa a priori l’ipotesi che quel luogo possa spopolarsi e rimosso il fatto del numero dei residenti diminuito, l’età media della popolazione innalzata. Il capoluogo marsicano, da parte sua, dovrebbe porsi ugualmente degli interrogativi per aver drenato negli ultimi decenni dei nuovi residenti proprio dal circondario e attira tuttora una cospicua massa di clienti per i suoi numerosi negozi, studi professionali, locali e laboratori artigiani. (È bene citare anche l’ospedale, le scuole superiori e il tribunale). È questa solo una prova per dimostrare quanto sia superficiale, da decenni, l’uso locale del termine «territorio» e delle locuzioni «Marsica Orientale» e «Marsica Occidentale».
È iniziata in ritardo la campagna elettorale per le prossime Regionali e nessuno, finora, ha posto il problema dello spopolamento dell’Abruzzo – oltre 3mila abitanti l’anno. Spulciando i dati, spicca anche l’alta percentuale dei nostri laureati che abbandona la regione. È stato invece proposto il solito canovaccio agli elettori; i leader politici – anche nazionali – si sono prodotti in delle improvvisazioni immersi nel fondale di qualche situazione che funziona. Hanno evitato di farsi fotografare, che so, davanti a una casa ancora non ricostruita o demolita dopo il terremoto nell’Aquilano del 2009, il piazzale di una fabbrica con i suoi dipendenti in cassa integrazione o una strada interrotta da una frana. Comprendo che per molti tale tema può essere considerato non al primo posto come per il sottoscritto, ma tra la prima, la seconda o la terza posizione e il fuori classifica ce ne passa. Quale ripresa si propone per l’Abruzzo se gli attori principali o almeno i soggetti privilegiati – i giovani –, continuano ad abbandonarla? Ponendo nei territori la questione del lento ma inesorabile calo di popolazione, i partiti (vecchi, nuovi, emergenti) e le liste elettorali sarebbero costrette a trattarla, in qualche maniera, nelle varie sedi. (Nella scelta del governatore di Regione, tra l’altro, c’entra meno – seppur di poco – il clientelismo rispetto all’elezione del sindaco: vi è più spazio per il voto d’opinione).

(Il Martello del Fucino, 2 2019, v.o.)

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