domenica 26 novembre 2017

Alice in Wonderland

Ho seguito un po’ le polemiche legate all’abbattimento delle statue di alcuni protagonisti nella Guerra civile americana (1861-65), oltre tre mesi fa negli Stati Uniti e in Europa. («Alcuni» è da intendere nel senso: quelli che difendevano la segregazione e la schiavitù). Anche quelle di Cristoforo Colombo. Si è trattato di un dibattito piuttosto interessante.
Passo adesso alla periferia della periferia dell’impero americano e noto che succede l’esatto contrario – senza stupirmi più di tanto. Ho letto piuttosto divertito questo pezzo: F. Proia, Tribunale di Avezzano: e se la difesa del palazzo di giustizia passasse anche per la cultura?, in «MarsicaLive» 25 novembre 2017. Si propone di ripristinare, immagino nella facciata, dei simboli del passato: due aquile, una con «la croce sabauda», l’altra «quella che riporta il fascio littorio». L’iniziativa servirebbe anche a «tutelare» maggiormente il nostro tribunale in questo poco felice momento; lo stesso articolo vuol essere una «provocazione». Vabbè…
In sintesi: negli Stati Uniti sono state distrutte decine di statue per non contrariare i discendenti degli schiavi intenti a passeggiare nelle loro città, un secolo e mezzo dopo quella guerra mentre ad Avezzano, i figli, i nipoti e i pronipoti di chi è stato picchiato, incarcerato, confinato, ucciso dai fascisti poco più di settant’anni fa – comunisti, democratici, ebrei, liberali, non-cattolici, omosessuali, repubblicani, socialisti –, dovrebbero almeno soprassedere.
Io penso che bisognerebbe capire per qual motivo settantaquattro anni fa, gli avezzanesi abbiano scelto di non buttar giù l’edificio del tribunale costruito durante il fascismo. Non solo, perché abbiano ripetuto la stessa scelta con la costruzione che va sotto il nome: «scuola di via G. Mazzini» – graffiti inclusi. (Idem, perché non hanno abbattuto il monumento ai Caduti e le case costruite durante l’infausto ventennio?).
Mi si perdoni l’auto-citazione: perché mi sono lamentato più volte negli ultimi decenni del destino toccato ai graffiti suddetti, ma non ho mai scritto un rigo a favore dei due simboli – poco ingombranti tra l’altro – che si trovano abbandonati presso il tribunale? Quei graffiti sono in ogni modo delle opere d’arte – stupende o scadenti, non importa – per quanto celebrative del periodo in cui sono state realizzate, a differenza di uno o più simboli. (Non sono delle mere rappresentazioni di aquile).

Chiedersi che fine debba fare quelle due aquile di pietra, è invece una bella domanda.

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