mercoledì 15 novembre 2017

L'ornitorinco di Umberto

Discutendo del post precedente in giro, sono spuntate delle questioni del tipo: perché un blogger è più preciso di un giornalista quando scrive? Non è solo una questione di tempi, più dilatati per chi agisce come me. Ritengo che, nel caso specifico, si debba alla conoscenza minuziosa del territorio – in fondo ho scritto di fatti che succedono da anni quasi sotto casa –, ma anche alla sordina che ho imposto a una caratteristica tipica locale: l’ipocrisia. C’entra anche l’incapacità di vedere il quadro d’insieme che è un riflesso ideologico, è inutile nascondersi dietro un dito –, ma non solo. Un lavoratore assai malpagato, un povero tout court, il tipo di passaggio e un delinquente hanno lo stesso interesse solo nelle ore in cui si trovano dentro un edificio occupato illegalmente. È perciò sbagliato, fare un fascio di tutta l’erba, scrivendo di simili questioni o nel caso d’interventi. (Divide et impera, invece?)
Non si può conoscere tutto a questo mondo, però si può avvicinarcisi per farsene uno straccio d’idea.
Riprendo questo: «Quanto costerebbe alla pubblica amministrazione, fornire almeno un riparo alle decine – la cifra è più che ottimistica – di senza-tetto locali?». Due giorni prima di pubblicare quel brano, io avevo letto la notizia della diffusione di alcuni dati sulla povertà, da parte di Caritas diocesana Roma. Il numero delle persone in «povertà estrema», nella Capitale riferito al 2016, varia dalle 7.500 a quasi 16mila unità – su 2.868.000 romani. (Il rapporto nazionale, Vasi comunicanti, risale alla metà di ottobre 2017). Ho confrontato la media dei due dati con la situazione locale; saranno sicuramente meno numerosi i nostri perché ad Avezzano la vita è meno costosa d’accordo, ma 100 è una cifra su cui scommetterei.
Parlando della situazione di piazza A. Torlonia nelle ore della notte anni fa, chiesi provocatoriamente: se non da quelle parti, dove dovrebbero andare a comprare sostanze illegali i 2mila avezzanesi che ne fanno uso? Questo dato era anch’esso ricavato dalla media nazionale, eliminando la quantità eccedente duemila.
Denunciando il degrado di piazza G. Matteotti si finisce inevitabilmente – si fa per dire – per affrontare il «problema» delle prostitute che sostano da quelle parti. Loro si trovano lì, sempre diverse immagino dagli esordi della ricostruzione post-terremoto, un secolo fa. Durante l’adolescenza e in gioventù, nel mio vagare per l’Italia e il Vecchio continente, ho sovente notato lo stesso «paesaggio» in luoghi simili. (È diverso giusto per i paesi in cui la stazione ferroviaria è molto distante dal centro). Si può tentare lo stesso gioco con i dati nazionali cum grano salis perché la prostituzione è un’attività generalmente femminile e due volte su tre, si svolge per strada. A voler considerare i/le compaesani/e dei/lle santarelli/e e che perciò scarsamente usufruiscono di tale tipo di «servizio», posso proporre agevolmente la quantità 5mila. (Su 60,8 milioni d’italiani, nove vanno a puttane in senso letterale. L’ha scritto La Repubblica non Poochetta Times)

Nella primavera del 2020, entrerò a far parte della popolazione anziana; ricordo di aver combattuto – com’è prevedibile – il moralismo della generazione precedente la mia mentre oggi impiego una parte del mio tempo a irridere quello della seguente, ed è grottesco.

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