lunedì 13 novembre 2017

Click-baiting

Sitting on a park bench | Eying little girls with bad intent | Snots running down his nose | Greasy fingers smearing shabby clothes, hey, Aqualung’. Riparto in qualche maniera dal pezzo precedente, per meglio mostrare i motivi di alcuni miei incidenti diplomatici. Succede da qualche anno che una persona abituata a passare molto tempo su Facebook o su Twitter con gente che ha gli stessi interessi (gattini, ikebana, Juventus, vegani, sesso, fascismo, gossip, pesca a mosca, aborto), poi quando capita sul sito di un comune quotidiano tipo Il Corriere della Sera o un blog, perde l’orientamento perché è cambiato improvvisamente il paesaggio. (Proseguo). Una lezione di John Cage (compositore, 1912-92) è stata per il sottoscritto quella di produrre qualcosa che gli altri possano utilizzare, in qualche modo. Vado al sodo.
Mentre leggevo distrattamente un pezzo (F. Proia, Ex clinica Santa Maria tra spaccio e criminalità, la terra di nessuno nel pieno centro di Avezzano, in «Marsicalive» 10 novembre 2017) ho incrociato: «Questi giovani, che gravitano nei pressi della struttura dell’ex clinica, non è la prima volta che arrecano fastidio a tutto il quartiere». Scrivono delle mie parti mi sono detto e ho ripreso dall’inizio. (Abito a un isolato di distanza da quel posto e la popolazione del mio «quartiere» è intorno alle 4mila persone). Non mi sovviene il citato «fastidio» per quanto mi sforzi – almeno a me. L’ex-clinica «è diventato un degradato punto di appoggio per la criminalità e lo spaccio degli stupefacenti». (Diventato, ergo: dall’oggi al domani). Per essere più precisi, alcuni giovani non solo italiani: «utilizzano l’ex clinica come rifugio e zona franca per portare a termine commerci e scambi illeciti di ogni genere, alla luce del giorno». Si dirà che è l’onda lunga del narcisismo degli anni Ottanta: chi è tanto ingenuo da vendere bustine al centro d’Avezzano, di giorno e soprattutto attirando l’attenzione? Infine, «I residenti nei dintorni della clinica, stressati da una situazione che diventa sempre più pesante, non fanno che lamentarsi». Immagino che si riferisca a quelli che occupano gli ultimi piani del condominio di fronte o al massimo, al parrucchiere affianco. In pratica: c’è gente che vede commettere dei reati e anziché denunciare – con nome e cognome –, chiamare le forze dell’ordine, filmare con lo smartphone e pubblicare in rete da qualche parte o scrivere addirittura al sindaco… si stressa. (Siamo tornati fatalmente a Debord). Nel corso degli ultimi anni, a giudicare da ciò che io noto dall’esterno, direi che lì dentro qualcuno ci andasse a dormire; immagino anche che il caso è scoppiato perché di recente ha ceduto una parte della recinzione e dal lato esterno, quello che dà sul marciapiede.
Se n’è perciò scritto molto di questa vicenda, ma non si ha niente di sicuro, di definito in mano: bisogna purtroppo intrufolarcisi, lì dentro per averne un’idea chiara. È in realtà difficile trattare di simili situazioni per diversi motivi. Gli inquilini (abusivi) possono cambiare di settimana in settimana, la stessa abitazione può essere abbandonata dopo pochi mesi o qualche anno. (Nel pezzo, tra l’altro, si ricordano solo gli edifici pubblici mentre le strutture maggiormente colpite o a rischio sono quelle private: è sufficiente una passeggiata per rendersene conto. Già dimenticata la vicenda della stamberga lungo via G. Garibaldi?) Gli occupanti in genere sono in ogni modo persone senza casa, italiani o stranieri. I secondi a differenza dei primi lavorano dieci, dodici ore, pressoché ogni giorno ma non ce la fanno a vivere in affitto per via dell’esiguo stipendio. Vivendo in tanti dentro una stanza e sotto lo stesso tetto, può succedere che qualcuno vuoi per arrotondare lo stipendio un po’ perché ha scarsa voglia di un lavoro onesto, prende a delinquere (furti, spaccio di sostanze illegali, eccetera). Può perciò anche capitare che uno degli occupanti (abusivi) utilizzi una stanza solo per stoccare momentaneamente che so, trenta metri di cavi o qualche discendente di rame rubato da qualche parte. In caso di «sfratto» da parte dei carabinieri o della polizia, gli occupanti sono costretti a trovare un’altra situazione «abitativa» – non si rendono conto di far parte di uno spettacolo che non comprendono, non leggendo quello che si scrive su di loro.
Tali personaggi sfuggono in qualche maniera sia ai servizi sociali del Comune sia a quelli privati (Caritas). Quanto costerebbe alla pubblica amministrazione, fornire almeno un riparo alle decine – la cifra è più che ottimistica – di senza-tetto locali? Un botto di quattrini, immagino: meglio che se la sbrighino tra loro – abusivamente, s’intende.
Ho pubblicato queste cose, lo scorso 8 marzo; mi riferivo a più di una situazione nella stessa zona, ma senza pubblicare indirizzi o foto di sorta:
Un’altra questione è l’abbandono – almeno trentennale – del centro mentre la stampa locale si straccia le vesti di recente e solo quando chiude un negozio. Le ultime amministrazioni comunali avrebbero dovuto dotarsi di politiche in grado di evitare tutto ciò più che parteggiare, favorire i proprietari d’immobili.
A saper leggere la cronaca degli ultimi anni, il pericolo principale è in realtà costituito dai capannoni (commerciali, industriali) abbandonati: un conto è sloggiare quattro poveracci con le loro carabattole un altro è trovarsi il contenuto di qualche camion colmo di rifiuti tossici e nocivi scaricato dentro simili strutture; con tutto quel che ne consegue per l’ambiente a distanza di anni. (‘Oh Aqualung’).

P.S.: la recinzione di cui sopra è pericolante; non è proprio il massimo della sicurezza per i passanti.

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