venerdì 3 novembre 2017

Wo die grünen Ameisen träumen

(Faccio il blogger alla vecchia maniera, adesso). Ho capito all’improvviso perché una trentina di anni fa ho mollato la montagna. Ho sempre incolpato la mountain bike perché dà una sensazione diversa dell’ambiente montano, poi è difficile – almeno per me – tornare sugli stessi sentieri. Era bene anche aggiungere che in genere ci andavo da solo, nei giorni infrasettimanali.
L’illuminazione mi è venuta leggendo questo: «La manifestazione, oltre a rappresentare un evento unico nel suo genere per la particolarità dell’ambiente in cui si è sviluppato e per la presenza dell’aquila reale e dei grifoni, che hanno accompagnato gli atleti durante la salita, mira a proporre il Massiccio del Monte Velino come una palestra all’aria aperta in cui poter svolgere attività fisica in piena libertà, attraverso itinerari adatti sia ad atleti, sia a coloro che, passeggiando lungo i sentieri, vogliano raggiungere alcune delle più [affascinanti] vette del Parco» (MarsicaLive). Si parla di monte Cafornia (2424 metri).

Vi è dietro tutto ciò la montagna come fondale, un’idea ridicola della libertà proprio nel miglior ambiente per comprendere di avere un peso, l’andar per monti come mero esercizio fisico, cui bisogna prepararsi; l’uomo come il centro di tutto – sai che gli frega ai grifoni e all’aquila reale (sempre una sempre quella) di quello che fa la gente nei giorni festivi. L’evento è unico, ovviamente. Era già tutto scritto l’oggi trent’anni fa.

2 commenti:

  1. I troppi impegni mi impediscono di frequentare la montagna come una volta, ma quando riesco a ritagliarmi una giornata libera mi immergo nelle nostre onde carsiche.
    Lontano dai tracciati più impervi, l'età non me lo permette, mi capita sovente di incontrare dei runner (si dice cosi no?) che un puro stile atletico "corrono" sui miei stessi sentieri.
    Ho sempre sentito, e lo sento tutt'ora, il ritmo vitale delle montagne come una lenta , lentissima, quasi religiosa osmosi della terra con il cielo. Queste pagnotte di terra, questi picchi di calcare, anche questi boschi di faggio, ci hanno messo millenni per essere li, in quel momento in cui hai la fortuna di esserci. E sono ancora in movimento, tutto è in movimento e non è solo il volgere delle stagioni ( a loro modo lente anch'esse). Lentamente, lentissimamente, tutto si muove.
    Anche il cammino sul sentiero che fa solletico sulla schiena di questi vecchi dinosauri fa parte di questo "work in progress".
    Ma mi dilungo troppo per dire quello che vorrei: a questi della montagna, di quello che gli gira intorno non glie ne frega un emerito piffero. Se gli sostituite il loro sentiero con una pista di atletica altimetricamente paragonabile potrebbero non accorgersene occupati come sono a controllare compulsivamente distanza-battiti-velocità-altitudine.
    Un modo come un'altro per deflorare la montagna, al pari di quello che fanno i quad, le jeep o le motocross. Non conta dove sei, l'unica cosa importante è la performance cronometrica.
    Niente di più lontano dai millenari movimenti della tettonica.
    Prima o poi in montagna ci si andrà a giocare ai videogames, a partorire, a farsi la doccia, in una frenetica ricerca di "locazioni esotiche"
    Si potrebbe concludere: pensa locale, agisci globale.
    p.l.

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