Sì, mi allargo un po’, anche se seguo
un sentiero tracciato negli ultimi giorni.
Ho
pubblicato questa roba, il 30 gennaio 2018: «È scoppiata di recente una polemica
legata all’espressione “razza bianca”. Non trovo la locuzione particolarmente
grave se proviene dalla bocca di un politico. (Simili coglionerie certo non
circolano nei corsi di Scienze biologiche; a Lettere e Filosofia avvertirebbero
ben presto puzza d’imbroglio)».
Tre giorni fa, è esplosa sulla stampa
internazionale la vicenda dell’approvazione di una legge che mette al riparo i
polacchi dall’accusa di aver favorito in qualche modo la Shoah. (Da parte del Senato, dalla maggioranza dei cittadini in
quello stato europeo). È bene ripetere: liberi di autoassolversi, è però opportuno
che simili
coglionerie non circolino nei corsi di Storia contemporanea delle università
polacche. (Guai se così non fosse, ne andrebbe di mezzo la concezione di Stato
ai nostri tempi).
Seguo da mesi la polemica circa
l’obbligatorietà o no dei vaccini ai cuccioli
di Homo sapiens. Proseguo sullo
stesso tracciato; m’interessa relativamente se la maggioranza degli italiani è
contraria ai vaccini e che essi siano banditi dal prossimo Parlamento,
l’importante è che simili coglionerie restino fuori dai corsi di Medicina,
Scienze biologiche e Farmacia. (È meglio chiudere quelle facoltà altrimenti). Le
domande lecite, cui sollecitare delle risposte istituzionali, da parte di chi
contesta l’obbligatorietà dei vaccini sono: a) se gli stessi sono pochi,
troppi, così-così, b) se essi sono sicuri, complessivamente.
M’interessa dell’ultima vicenda più che altro
l’idea di società che vi è dietro la posizione della maggioranza dei contrari. Appare
a me un’umanità atomizzata, di monadi in cui ciascuno vive in completa
solitudine, per proprio conto. Il singolo non incontra mai nessuno quando
lavora, fa quattro passi; va al supermercato, al bar, dal dentista, allo
stadio. (Vai al «Giuseppe Meazza» e sei l’unico che occupa uno degli 80mila
posti; segui la tua partita sullo schermo ovviamente).
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