martedì 6 febbraio 2018

Walking down the line

Sto battendo la periferia d’Avezzano in questo periodo, come ho annunciato una decina di giorni fa e non ho molto tempo per il blog. (Dovrei averne per qualche mese, è per il seguito di Beth). Che cosa penso dell’Urban Center d’Avezzano? È bene non illudersi troppo; seguo la cronaca di Roma, Milano, Torino e saltuariamente Bologna: è stata una piccolissima conquista, considerando anche che si tratta di Città metropolitane e perciò province. Ci si parla di più tra istituzioni e alcuni cittadini con un simile strumento ma bisogna tenere conto che si tratta di luoghi che ospitano facoltà universitarie a differenza d’Avezzano. (Nel senso: vi è chi propone, dice qualcosa in ogni modo). Sono perciò scettico, attendo qualche risultato prima di poter giudicare. (Date uno sguardo al sito UC di Bologna).
Non ho capito il nesso con questa, «Durante la presentazione sono stati comunicati i piani in essere quali in cantiere la sistemazione di piazza del Mercato, […] la prossima settimana si avvierà la progettazione e la sistemazione dell’ex [Onmi]», in L. Novorio, Urban Center: una casa di vetro per Avezzano, in «TerreMarsicane» 6 febbraio 2018.
Girando a piedi la città profonda, in cui abitano i nove decimi della popolazione del capoluogo, io provo un leggero disagio a leggere un simile elenco: «Progetti di restyling del centro storico, piani di mobilità urbana e isola pedonale, opere pubbliche di rilievo, progetti di qualità urbana, piano regolatore generale». Sarà l’età, ma ignoro il significato di: «progetti di qualità urbana».
Non mi deve interessare com’è stato disegnato il logo – ho un evidente conflitto d’interesse –, però posso dire qualcosa sull’idea che vi è dietro: rappresenta la città europea come noi l’abbiamo pensata fino alla fine degli anni Ottanta, nonostante stesse già cambiando.

Sono capitato a piazza A. Torlonia sabato scorso e ho notato che sono scomparsi i monconi degli alberi abbattuti. Si fa proprio così in casi del genere, si butta giù un albero malato e si fa spazio per ripiantarlo; noi avezzanesi non siamo stati abituati per generazioni a vedere tali operazioni, una dopo l’altra. (Ne scrivo perché non molti l’hanno capito).

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