Ho
trovato abbastanza disgustoso questo pezzo: «Voglio ricordare a tutti gli abruzzesi
che noi avevamo iniziato col Genio militare a raccogliere tutte le macerie.
Invece, una decisione del Consiglio comunale dell’Aquila ci ha imposto di
fermarci», in «AbruzzoWeb» 1 febbraio 2019. (Noi = Silvio Berlusconi. Il
riferimento è il terremoto nell’Aquilano del 2009).
Le
cose vanno in maniera diversa in Europa, da secoli; lo stesso copione è in
realtà stato utilizzato anche per L’Aquila, altroché.
Di
fronte a un simile terribile evento, lo Stato centrale vuol conoscere dai
tecnici perché alcuni immobili pubblici
sono stati devastati. (Il municipio dell’Ottocento, il mercato coperto degli
inizi del Novecento, la scuola media costruita mezzo secolo fa, il centro
culturale in vetro-cemento degli anni Settanta, l’asilo-nido appena inaugurato,
eccetera). Non si sgomberano subito tutte
le macerie perché esse sono utili a comprendere perché un edificio è collassato
di colpo, è crollato in parte, si è afflosciato.
Neppure
si disperdono in discarica tutte le
macerie. Alcuni edifici sono da ricostruire – in parte, completamente secondo
la loro importanza per la collettività. Si ricostruisce, cum grano salis, una parte di fabbricati in cui è stata utilizzata
una particolare tecnica edilizia obsoleta. (Ci si comporta così da poco tempo,
vabbè). Si smaltiscono i resti di un affresco eseguito da un imbrattamuri, ma
si custodiscono quelli di un autore di rilievo per riusarli in qualche maniera.
In ultimo: almeno io, non sono tanto imbecille da buttar via qualche lastra di
marmo pregiato (vecchia, nuova, così-così) semplicemente perché il vibrare del
sisma l’ha staccata dal muro. (Vi è dell’altro, poi, casomai).
P.S.
è morto Roberto Perini.
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