mercoledì 27 febbraio 2019

Una ripresina

Riprendo la mia obiezione riferita al numero (inferiore) degli attori nella vicenda della vecchia costruzione abbattuta: è bene considerarli tutti, assegnando loro casomai le rispettive percentuali di responsabilità. La questione non riguarda, appunto, solo il COMUNE e la SOPRINTENDENZA.
Mi spiego meglio. Siamo tutti felici e contenti se proteggono, buttano quattrini, conservano, collegano, «valorizzano» una torre con un migliaio d’anni alle spalle o un giardino storico. Succede lo stesso per un edificio pubblico dell’Ottocento o del secolo scorso. Come reagisce invece un privato la cui proprietà è appena stata sottoposta a un qualsiasi genere di vincolo? Le reazioni sono di diverso tipo e spaziano dall’appuntarsi quella misura come una medaglia al considerare la stessa una iattura. Né il Comune (Avezzano), né la Soprintendenza (Abruzzo) ha apposto dei vincoli nel nostro caso. (Si può sbagliare in tanti e avviene di quando in quando).
Torno al privato cittadino – la storia non finisce con un pezzo di carta. Che cosa succede negli anni successivi all’apposizione di un vincolo? È semplice. Chi l’ha apprezzato cercherà in tutti i modi di mantenere il suo bene mentre chi non l’ha per niente digerito, lo manderà in rovina infischiandosene del suo presunto valore storico e artistico: è suo dopotutto.

Il paesaggio costruito in cui ci muoviamo mostra bene tutto ciò. È facile, da alcuni secoli, conservare un bene collettivo mentre non c’è scampo per quello privato – salvo eccezioni s’intende.

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