(Dalle
onde elettromagnetiche al bancone). La demolizione della vecchia casa dei Rubeo
è iniziata la mattina dello scorso 20 febbraio. Ieri mi è stato consigliato
questo pezzo sull’argomento: G.M. De Pratti, Avezzano. Il liberty che scompare nella «città bella», in
«Marsica-Web» 25 febbraio 2019. Chiacchierando, mi sono accorto che quella pubblicazione
era diventata un esempio di civismo.
«È il solito
pezzo contro Gabriele De Angelis» è stato il mio primo commento a caldo. Nel
senso: la persona, non il sindaco d’Avezzano. («Sinceramente, non sappiamo se
sia così che la “Città si faccia bella”»; è stato uno slogan della campagna
elettorale dell’attuale sindaco «Città bella» ed è stato più volte ripreso in
questi due anni di vita amministrativa). Ne scrivo a mente fredda, adesso.
La sua
cornice interpretativa – per quanto si è divagato –, è costituita dalla
contrapposizione tra un indistinto popolo e una qualsiasi entità dotata di uno
straccio di potere. È efficace tale frame
in caso di beni pubblici mentre non succede altrettanto quando si passa a
situazioni private. Ho scritto ieri: «C’entrano in modo marginale nella vicenda
sia il Comune sia la Soprintendenza». Tutto ciò adombra che, in tale vicenda, il numero degli attori è più alto.
Il fabbricato
in questione è stato abbandonato dal proprietario da molti anni e in più
occasioni cintato di nastro bianco e rosso per segnalare la caduta di
calcinacci. (C’entra anche Di Pangrazio? E Floris?). Non sono noti i motivi
della scelta di mandarlo in malora, né devono interessarci in una società come
la nostra. Il Comune e la Soprintendenza potevano metterci una pezza fino a un
certo punto: nessuno m’impedisce di acquistare, quindi, possedere un Picasso e
poi pisciarci sopra o darlo alle fiamme. Io tiro in ballo anche la coscienza,
la sensibilità collettiva che spinge
verso alcuni atteggiamenti anziché altri ma anche in questo caso, esse possono
poco. (Sono ragionamenti tabù questi, per un populista). Ne vedremo ancora perciò
di altri «interventi che lasciano, quantomeno, perplessi». I distratti
ovviamente.
È un testo
molto citato dagli italiani ma per niente compreso Le città invisibili di Italo Calvino.
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