Un
noto volumetto di Italo Calvino mi ha spinto a leggere Le Metamorfosi, da trentenne. (Un viaggio, due servizi, chioserà
qualche mio conoscente).
Un
romano si candida a guidare l’Abruzzo nei prossimi cinque anni – ci riuscirà, come
scrivo da settimane. Nei primi giorni di campagna elettorale, si è comportato
come i leader nazionali accorsi da
queste parti: una serie di stereotipi
sugli abruzzesi ignorando la grave situazione
regionale. («Passerella di vicepremier chiamati in soccorso di candidati che
non trascinano come Marco Marsilio e Sara Marcozzi, ministri, leader nazionali
con codazzi, staff, portaborse, almeno una volta la settimana», in A. De
Angelis, Gran Cinema Abruzzo, in
«HuffPost Italia» 3 febbraio 2019. La campagna elettorale «finora è stata deludente di iniziative, idee, proposte concrete sulle
grandi questioni che interessano il nostro territorio», i vari leader nazionali intervenuti, non
conoscono del Centro Abruzzo «storia,
tradizioni emergenze e vocazioni», Asterix, Questa volta facciamo vincere Sulmona, in «CorrierePeligno» 3
febbraio 2019. «Si parla molto poco d’Abruzzo», A. Cococcetta, 3 febbraio 2019).
Ha tentato in seguito la carta delle radici (dialetto, cucina) per scrollarsi
di dosso l’etichetta del proconsole spedito in queste parti da Roma – anche da
Milano. (No comment).
Ebbene,
Marco Marsilio: «L’Abruzzo negli anni ‘60 e ‘70 è stato un modello per tutta
l’Italia, con un grande sviluppo industriale e agricolo», citato in
«AbruzzoWeb» 19 gennaio 2019. Un qualsiasi libro di storia regionale
smentirebbe una frase del genere, per non parlare di qualche testo che racconta
come si sono svolti quei due decenni nella Penisola. (Il padre, la madre non
gli ha mai raccontato niente?) La città di Marsilio poteva invece essere un
nostro modello per quanto riguarda l’industria; non affronto nemmeno
l’argomento dell’agricoltura, trattandosi della città più «verde» d’Europa: ha
tuttora un’estesa superficie coltivabile all’interno del suo sterminato perimetro.
(Mai sentito parlare della pianura
padana?). Napoli era un po’ sotto la Capitale quanto a fabbriche e
campagne, e anche quella situazione sarebbe stata invidiabile per noi
abruzzesi, in quel periodo.
L’una
e l’altra metropoli, in realtà, potevano allora guardare giusto dal basso il
cosiddetto triangolo industriale
(Torino, Milano, Genova).
‘In noua fert animus mutatas dicere formas |
Corpora’.
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