domenica 18 marzo 2018

Radio Bar(i) 7

(Come mi metto adesso?). Per cominciare: non cambio idea sul Comando della Polizia locale dentro Palazzo Torlonia. Mi è capitato di discutere sull’incontro dello scorso 16 marzo al Comune, tra il nostro sindaco e alcune associazioni culturali – molto diverse tra loro. (La pioggia stimola le chiacchiere da bar). Io non ho capito il senso di quell’incontro, dopo la visita della Soprintendenza: a che cosa serviva? (Avrei anche chiesto un parere all’Urban Center considerando che c’è, al posto del sindaco). Esso fa probabilmente il pari con quello dentro il Palazzo Torlonia (12 marzo) dove si sono incontrate altre associazioni altrettanto diverse tra loro ed è andata in tutt’altra maniera. (È perciò azzardato scrivere di «spaccatura» tra associazioni, com’è successo sulla carta stampata. Anche di associarle tutte a due fazioni o schieramenti politici: la situazione è più complicata e soprattutto diversa)
Riprendo dalla Soprintendenza (28 febbraio). Poteva andare diversamente quella consultazione? No. A loro interessa che in qualsiasi operazione si tocchi meno possibile un manufatto di una certa importanza; non è un problema se in seguito una stanza sarà adibita a emeroteca, ufficio, caffetteria o sala prove. Non sta alla Soprintendenza far comprendere il valore di una costruzione, a chicchessia. 16 marzo, che cosa d’altro potevano rispondere le associazioni convocate dal sindaco? Sì o no, indifferentemente. (Bisogna tener conto che si tratta di persone che hanno una sede e un rapporto consolidato con il Comune d’Avezzano).
È bene riempire quel complesso con attività che hanno una certa attinenza con la cultura; non sarà certo un dramma se cinque, dieci o venti stanze di quel palazzo resteranno esse, inutilizzate per qualche anno o di più. Gli operatori convocati il 16 marzo – come si è detto – non hanno generalmente bisogno di altri spazi aggiuntivi, gli altri invece? Penso che sia lo stesso alla luce dell’esperienza che ho maturato in decenni di attività dentro le associazioni: si può richiedere al Comune una sala, una o due volte l’anno per le assemblee.
Si scopre uno spazio da noi e tutti vogliono fiondarcisi, è successo prima con Castello Orsini e poi con il Teatro dei Marsi. Una compagnia dialettale amatoriale non reciterebbe mai in un teatro pubblico a Milano o Roma, sono considerate invece tutte uguali (professionali, amatoriali) da noi. È una questione legata all’etica pubblica mentre da noi domina il clientelismo. Sono tornato alle responsabilità piuttosto estese della nostra poco felice situazione.

P.S.: ho piena coscienza d’ignorare il lato finanziario della vicenda.

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