(Come mi
metto adesso?). Per cominciare: non cambio idea sul Comando della Polizia
locale dentro Palazzo Torlonia. Mi è capitato di discutere sull’incontro dello
scorso 16 marzo al Comune, tra il nostro sindaco e alcune associazioni
culturali – molto diverse tra loro. (La pioggia stimola le chiacchiere da bar).
Io non ho capito il senso di quell’incontro, dopo la visita della
Soprintendenza: a che cosa serviva? (Avrei anche chiesto un parere all’Urban
Center considerando che c’è, al posto del sindaco). Esso fa probabilmente il
pari con quello dentro il Palazzo Torlonia (12 marzo) dove si sono incontrate
altre associazioni altrettanto diverse tra loro ed è andata in tutt’altra
maniera. (È perciò azzardato scrivere di «spaccatura» tra associazioni, com’è
successo sulla carta stampata. Anche di associarle tutte a due fazioni o schieramenti politici: la situazione è più complicata
e soprattutto diversa)
Riprendo
dalla Soprintendenza (28 febbraio). Poteva andare diversamente quella
consultazione? No. A loro interessa che in qualsiasi operazione si tocchi meno
possibile un manufatto di una certa importanza; non è un problema se in seguito
una stanza sarà adibita a emeroteca, ufficio, caffetteria o sala prove. Non sta
alla Soprintendenza far comprendere il valore di una costruzione, a
chicchessia. 16 marzo, che cosa d’altro potevano rispondere le associazioni
convocate dal sindaco? Sì o no, indifferentemente.
(Bisogna tener conto che si tratta di persone che hanno una sede e un rapporto
consolidato con il Comune d’Avezzano).
È bene
riempire quel complesso con attività che hanno una certa attinenza con la
cultura; non sarà certo un dramma se cinque, dieci o venti stanze di quel
palazzo resteranno esse, inutilizzate per qualche anno o di più. Gli operatori
convocati il 16 marzo – come si è detto – non hanno generalmente bisogno di
altri spazi aggiuntivi, gli altri invece? Penso che sia lo stesso alla luce
dell’esperienza che ho maturato in decenni di attività dentro le associazioni:
si può richiedere al Comune una sala, una o due volte l’anno per le assemblee.
Si scopre
uno spazio da noi e tutti vogliono
fiondarcisi, è successo prima con Castello Orsini e poi con il Teatro dei Marsi.
Una compagnia dialettale amatoriale non reciterebbe mai in un teatro pubblico a
Milano o Roma, sono considerate invece tutte uguali (professionali, amatoriali)
da noi. È una questione legata all’etica
pubblica mentre da noi domina il clientelismo.
Sono tornato alle responsabilità piuttosto estese della nostra poco felice
situazione.
P.S.: ho
piena coscienza d’ignorare il lato finanziario della vicenda.
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