domenica 3 giugno 2018

Un riassunto

Mi chiedono in diversi, da giorni, un parere sul restyling in corso di piazza Risorgimento. È in fondo simpatico ritrovarsi davanti al cantiere – da cui non trapela nulla per via dei teloni –, starsene lì a immaginare come sarà quel posto tra un paio di mesi. Rimangono male o almeno delusi i miei interlocutori perché loro si aspettano ben altro da me. Tengo a precisare che, restando fuori dai lavori la zona pedonalizzata, si tratta di una parte del progetto che ha vinto il concorso (nazionale). Aggiungo – con la saggezza di una massaia –, che lo sblocco della vicenda è per sé un bene: meglio usare i fondi messi a nostra disposizione più che lasciarli sciupare dall’inflazione. Perché deludo le persone?
Posso qui riepilogare tutto quanto ho scritto sull’argomento della Piazza negli ultimi anni.
Non m’interessa abbastanza un qualsiasi restyling per via della formazione che ho ricevuto all’università. Mi hanno insegnato a progettare lo spazio, non la superficie; conta davvero poco per me se coprono la superficie calpestabile con il pavé, le mattonelle di ceramica, le lastre di calcare, i mattoncini di cemento o il brecciolino bianco, da quelle parti. Piazza del Risorgimento ha dimensioni maggiori di luoghi simili in Italia; ho proposto anni fa di rialzare di un piano gli edifici più bassi che la circondano per renderla più definita rispetto al Quadrilatero, farla meglio leggere (2009). Più di uno mi ha raccontato, che a leggere quella mia idea gli era invece balzato in mente il termine «speculatore». Lo spazio ha tre dimensioni. (Sono tuttora dell’idea che il progetto che si sta realizzando sia il migliore tra quelli selezionati).

Non solo. Spuntò fuori la pessima idea di vendere la Corradini-Fermi per farla trasformare in un ipermercato o giù di lì, anni fa. Scrissi che quella costruzione era ormai da considerare come un tema collettivo – qualcosa di più «elevato» rispetto a un’abitazione, una bottega artigianale, una scuola, un negozio, una palestra –, meravigliato dalla contrarietà di una buona parte degli avezzanesi. I mezzi d’informazione italiani non spiccano certo per la loro autonomia nel panorama della stampa occidentale, essi si prodigarono – approfittando anche del terremoto nell’Aquilano – nel propagare tra i lettori la sensazione che quel complesso fosse pericolante. Non stetti in ozio e proposi di buttar giù tutto per costruirci un’altra chiesa, con la facciata principale proprio sulla piazza. (Anche in questo caso: «[…], pure gli agnostici vogliono le chiese…»). Le piazze europee sono purtroppo fatte in quel modo, presentano almeno un paio di temi collettivi mentre da noi ve n’è solo uno – la chiesa, per quanto cattedrale. Per carità, andava bene anche una biblioteca, la posta, un teatro, una pinacoteca o qualche ufficio comunale. (Un amico propendeva per una casa di riposo; quei posti in genere si trovano in periferia, dove l’ambiente circostante non mette certo voglia di durare a lungo, se esci a farti quattro passi…)

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