Mi chiedono
in diversi, da giorni, un parere sul restyling
in corso di piazza Risorgimento. È in fondo simpatico ritrovarsi davanti al
cantiere – da cui non trapela nulla per via dei teloni –, starsene lì a
immaginare come sarà quel posto tra un paio di mesi. Rimangono male o almeno
delusi i miei interlocutori perché loro si aspettano ben altro da me. Tengo a
precisare che, restando fuori dai lavori la zona pedonalizzata, si tratta di una parte del progetto che ha vinto il
concorso (nazionale). Aggiungo – con la saggezza di una massaia –, che lo
sblocco della vicenda è per sé un bene: meglio usare i fondi messi a nostra
disposizione più che lasciarli sciupare dall’inflazione. Perché deludo le
persone?
Posso qui
riepilogare tutto quanto ho scritto sull’argomento della Piazza negli ultimi
anni.
Non
m’interessa abbastanza un qualsiasi restyling
per via della formazione che ho ricevuto all’università. Mi hanno insegnato a
progettare lo spazio, non la
superficie; conta davvero poco per me se coprono la superficie calpestabile con
il pavé, le mattonelle di ceramica, le lastre di calcare, i mattoncini di
cemento o il brecciolino bianco, da quelle parti. Piazza del Risorgimento ha
dimensioni maggiori di luoghi simili in Italia; ho proposto anni fa di rialzare
di un piano gli edifici più bassi che la circondano per renderla più definita
rispetto al Quadrilatero, farla meglio leggere (2009). Più di uno mi ha
raccontato, che a leggere quella mia idea gli era invece balzato in mente il
termine «speculatore». Lo spazio ha tre
dimensioni. (Sono tuttora dell’idea che il progetto che si sta realizzando sia
il migliore tra quelli selezionati).
Non solo.
Spuntò fuori la pessima idea di vendere la Corradini-Fermi per farla
trasformare in un ipermercato o giù di lì, anni fa. Scrissi che quella
costruzione era ormai da considerare come un tema collettivo – qualcosa di più «elevato» rispetto a
un’abitazione, una bottega artigianale, una scuola, un negozio, una palestra –,
meravigliato dalla contrarietà di una buona parte degli avezzanesi. I mezzi
d’informazione italiani non spiccano certo per la loro autonomia nel panorama
della stampa occidentale, essi si prodigarono – approfittando anche del
terremoto nell’Aquilano – nel propagare tra i lettori la sensazione che quel
complesso fosse pericolante. Non stetti in ozio e proposi di buttar giù tutto
per costruirci un’altra chiesa, con la facciata principale proprio sulla
piazza. (Anche in questo caso: «[…], pure gli agnostici vogliono le chiese…»).
Le piazze europee sono purtroppo fatte in quel modo, presentano almeno un paio
di temi collettivi mentre da noi ve n’è solo uno – la chiesa, per quanto
cattedrale. Per carità, andava bene anche una biblioteca, la posta, un teatro,
una pinacoteca o qualche ufficio comunale. (Un amico propendeva per una casa di
riposo; quei posti in genere si trovano in periferia, dove l’ambiente
circostante non mette certo voglia di durare a lungo, se esci a farti quattro
passi…)
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