Ci rifacciamo a uno sterminato
repertorio di tecnologie, teorie, poetiche e modi di fare nelle nostre azioni:
è più semplice trovare una novità rielaborando vecchi materiali che inventare
di sana pianta. Non è stato scritto finora niente d’interessante sulla
periferia d’Avezzano; si rintracciano solo dei frammenti, rimasticature di
testi che – per quanto d’autore – raccontano pochissimo e dicono niente:
inutilizzabili in buona sostanza. Chi ha composto qualcosa è generalmente un
giornalista, uno scrittore, un fotografo o un pittore che doveva chiudere un
lavoro, egli non s’interessava né della storia, né del paesaggio né tantomeno
delle persone che incrociava durante la sua permanenza. Vi è perciò della
nostra città delle immagini riprese da lontano come nei dipinti dei vedutisti
nel Sette- Ottocento o dei primi piani riferiti alla sua zona centrale: il
municipio, la cattedrale, il tribunale e poco altro. Il pubblicista, il
documentarista, il romanziere proveniente dalla grande o media città cercava
piuttosto i suoi simili quando metteva piede in un posto e li trovava giusto
sparsi nella piazza principale, tra i tavolini dei caffè o dei primi bar. Non
vi era nessuna curiosità, voglia di rischiare, sbagliare per meglio conoscere o
passione nell’allestimento della sua opera commissionata generalmente da
qualcuno appartenente alla sua stessa condizione sociale, gente che richiedeva
contenuti che poco impensierissero i consumatori di determinati prodotti. Nelle
tele, nelle foto dei rilievi circostanti – riprese generalmente in estate, con
la vegetazione lussureggiante – non si cita mai una frana o un masso fuori
posto. In tali immagini le nuvole, a differenza dei dipinti cinesi o
giapponesi, sono sempre sullo sfondo e non celano mai una parte del paesaggio,
come a voler coprire qualcosa che sta sicuramente mutando, anche se noi non ce
ne accorgiamo; le nostre montagne con i prati circostanti sono invece
rappresentate come fossero eterne o meglio ancora, il giardino della propria
magione. (Mostrare un versante soggetto a valanghe, sarebbe stato invece
apprezzato dai frequentatori della montagna). Non vi erano mai degl’indizi che
alludessero al livello del lago Fucino salito o sceso in modo rilevante negli
ultimi millenni o resti degli insediamenti umani spostati verso l’alto, o il
basso secondo le esigenze; è ignorata la campagna come pure l’ampio reticolo di
strade e sentieri. Si è perciò portati a pensare che la nostra piana sia
rimasta isolata per qualche arcano dal resto della Penisola, da qualche tempo
immemorabile. Nelle rappresentazioni mancano anche allusioni a un elemento come
il fuoco, nemmeno fossero assenti da un qualsiasi agglomerato delle attività
produttive di sorta, opifici, laboratori, forni (pubblici, privati); notiamo
invariabilmente un campanile che svetta su un gruppo di costruzioni sfumate,
tutto simile a una cartolina. (Alcune simili pubblicazioni raffiguravano anche
impianti industriali, centrali idroelettriche, borghi rurali, nuovi quartieri
ed edifici pubblici, fino a tutti gli anni Sessanta del secolo scorso). In una
simile narrazione mancano le persone, soprattutto quelle al lavoro nei campi,
nei laboratori; chi andava a recuperare in montagna la legna da ardere o i
funghi e le numerose erbe per uso commestibile, chi conduceva un gregge –
seppur con pochi capi di bestiame. Tutto questo era non visto o accantonato da
chi viveva in pianura mentre nei presepi natalizi allestiti dalle plebi guai se
mancava la statuina del conciaiolo, del maniscalco o dell’acquaiolo. Ecco, i
nostri dipinti fino all’impressionismo (seconda metà dell’Ottocento), sono come
degli atti notarili a differenza delle vedute orientali: vi è tutto
quello che dovrebbe esserci; ciò dipende essenzialmente dalla diversità dei due
modi di pensare e François Jullien ci ha ricordato in più occasioni che
l’ideogramma cinese che corrisponde al nostro «paesaggio» è formato da
«montagna» e da «acqua»: due elementi certo diversi, addirittura una polarità.
La popolazione locale nemmeno ha trovato appoggio, conforto nella letteratura,
considerando le sparute opere che finora hanno trattato l’Appennino. Poteva
svilupparsi un simile filone in un’estesa porzione della Penisola dominata dal
paesaggio classico, costituito da brevi valli, forre, sentieri che si snodano
tra i boschi, scarsi panorami? […]
• Se ce la fate – dura un paio d’ore:
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