È una questione di
narrazione, secondo me. Gli ipermercati nascono ai miei tempi, ho avuto notizia
del loro approdo in Europa una ventina d’anni fa, mentre ho visto da
cinquantenne il primo impianto del genere ad Avezzano. Perché Ipercoop è ancora
aperto e anzi, hanno inaugurato altri shopping
center nella stessa zona? È una faccenda di quattrini da parte della
proprietà e da una serie di motivi da parte di chi frequenta tali strutture. (Non ci metto piede né ci ho buttato
mai un centesimo di euro ma non ho niente contro chi si reca in quei posti). Non
c’entra perciò una giusta comunicazione, come pensa il nostro consigliere
comunale: le persone – tutte – hanno le idee abbastanza chiare sulle loro azioni.
Per calcolo politico ma soprattutto ipocrisia, non si è mai provato a indagare
su tali motivazioni; si è ridotto tutto alla convenienza economica, anche se
spesso non è così.
A me interessa come le
persone occupano, utilizzano lo spazio e mi rendo conto che in quelle costruzioni
si riscontrano delle situazioni che nelle città storiche non esistono più;
l’esempio più immediato è la possibilità di passeggiare con altri due o tre
amici: non si può compiere la stessa operazione nel nostro centro cittadino, da
oltre un ventennio. In pratica: nel centro commerciale hanno ricostruito
qualcosa che noi collettivamente avevamo in precedenza sfasciato, senza
pensarci due volte. (Vi è dell’altro ripeto, altrimenti non si spiegherebbe il
loro successo, a cominciare dalla possibilità d’incontrare tutti gli strati
della popolazione locale e non solo – come nella «Piazza» della mia adolescenza.
Succede tutto ciò per dodici, quattordici ore quasi ogni giorno, per carità).
Tale narrazione e le
politiche a essa legate, non hanno finora arrestato – come prevedibile – il
lentissimo esodo dei commercianti e gli artigiani dal Quadrilatero alla ricerca
di locali più spaziosi, meno bui, a norma e più a buon mercato; in compenso i
valori immobiliari del centro-centro sono lievitati nonostante la diminuzione della domanda. (Strano o no?). Le Amministrazioni
comunali che si sono succedute negli ultimi trent’anni hanno riversato un fiume
di denaro su piazza del Risorgimento e dintorni per convogliare gente al centro
e provare a compensare in qualche modo le perdite (presunte) degli esercizi in
quella zona della città. (Ho denunciato in tempi non sospetti che alcune vie
del centro sono state trasformate in una sorta di mangiatoia).
Ho potuto scrivere in
scioltezza un paio d’anni fa che l’epoca dei mall stava tramontando negli Stati Uniti, segno che il fenomeno era
già stato analizzato a lungo da quelle parti. Può servire a noi europei una
simile conoscenza o lezione nei prossimi venti, venticinque anni? Penso in
piccola parte perché le nostre città sono diverse da quelle americane. (2/3)
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