sabato 12 maggio 2018

Begleitschreiben 1

[…] Gli italiani di oggi sono molto somiglianti a quelli che s’incontra negli scritti di Giacomo Leopardi, quando il Regno d’Italia era di là da venire, a quelli raffigurati nelle opere di Giuseppe Verdi che ha visto tale regno nascere: c’è davvero poco di «cantonale», di «isolato» nel loro carattere.
Nel costruire l’immagine regionale, si è tenuto conto solo delle descrizioni benevole di noti personaggi mentre sono stati scartati gli studi sociologici che hanno descritto la natura clientelare del voto alle elezioni. È stato messo da parte anche lo scatto del naturalista che ha mostrato davvero una vallata, preferito a un autore noto al grande pubblico che dello stesso luogo, ha casomai inquadrato solo un albero solitario; ha subito lo stesso destino, quegli studi antropologici che hanno raccontato il familismo di stampo mafioso che permea la vita sociale degli abruzzesi, tipica di altri popoli del Mediterraneo. Tarda a essere ammainata la bandiera dell’«isola felice»: la ricostruzione del capoluogo regionale (2009), gli appalti a essa legati sono stati l’occasione a favore della criminalità organizzata per entrare definitivamente in Abruzzo mentre lo spaccio di sostanze stupefacenti sulla costa adriatica è un motivo per rimanerci; tale ritardo purtroppo favorisce la complicità d’imprenditori e amministratori locali.

Tutto ciò dipende non solo da alcune lacune di cultura generale caratteristiche anche nel resto della Penisola, quanto del provincialismo, nella particolare incapacità di autocoscienza derivante probabilmente dal risiedere in una regione che vive da decenni di assistenzialismo, nella vasta periferia italiana lontana dai centri di potere. Prendo l’ottocentesco «Abruzzo forte e gentile», inconsapevolmente donato da un forestiero: serve ancora la forza, ai nostri giorni? Non sono più utili delle qualità come la potenza che serve a procedere spediti e la resilienza che permette di sopportare i momenti critici? Nell’anno e mezzo trascorso a Milano, ho ascoltato numerose volte dai locali una sorta di litania tesa a marcare la distanza con la mia regione d’origine: «Noi lavoriamo…». Era essa una frase certo più spendibile del nostro «forte e gentile» in quelle occasioni confrontando i tassi di occupazione: la Lombardia svettava su di noi, già da allora, per undici punti percentuali in più. (Tralascio il mero slogan «Abruzzo Regione Verde d’Europa»). La narrazione di noi stessi è tradizionalmente povera ed elaborata pochissimo nel volgere dei decenni; ciò che raccontiamo di noi finisce per non emozionarci, mobilitarci, unirci ed è tipica di una società pressoché immobile, in una zona della Penisola avviata al declino. A livello di mentalità lo spartito che va per la maggiore – anche nel resto d’Italia, purtroppo –, è lo stesso suonato ottanta, novanta anni fa, tanto per citare anche il nostro Ennio Flaiano. (1/2)

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