In Occidente è mancata negli ultimi
decenni la produzione, la diffusione di narrazioni adeguate al nostro tempo;
resta invece immutato il vecchio bisogno per l’uomo di sentirsi ben collocato
in un mondo percepito generalmente come caotico, che lo sviluppo tecnologico
degli ultimi decenni ha maggiormente ingarbugliato. S’inventa, si scruta un
passato indefinito e mitico cui trarre ispirazione per il futuro dimenticando
che, alle nostre spalle, vi è una rispettabile tradizione d’innovatori – come
italiani –, che partendo da alcune invenzioni risalenti al Rinascimento giunge
a tutto il secolo scorso con il design
e la nostra brillante manodopera industriale. D’altra parte, chi ha mai
riconosciuto la modernità del metodo Torlonia in Abruzzo, fin dalla seconda
metà dell’Ottocento? (Anziché tirar fuori grano, patate e ortaggi per il
mercato locale dal proprio latifondo, quei nobili esportavano zucchero e alcol
nel resto dell’Italia).
La questione cruciale è la mancata
elaborazione di un pensiero capace di legare insieme l’impressionante mole –
detto in modo migliore: la complessità – dei contributi provenienti dalle
scienze e da altre forme di conoscenza prodotte negli ultimi cento anni, dalla
teoria della relatività ristretta in poi; la mente umana, tra l’altro, ha una
capacità limitata nell’accumulazione dei dati ed è più agevole, mescolando o
rimontando in un altro ordine, aggiornando vecchi concetti, teorie o tecniche,
inventare.
Il sapere disperso in mille rivoli
comporta lo scarso impiego nella vita quotidiana, di conoscenze ed esperienze.
Io continuo a registrare come esempi a scala regionale la costruzione di
edifici in aree golenali, condomini tirati su eludendo in parte la normativa
anti-sismica e il progetto di estese discariche sopra un acquifero. Nonostante
questo sterminato ammasso d’informazioni, abbiamo un’idea dell’Abruzzo non
priva d’insufficienze; sono d’altra parte ignorati degli studiosi,
sottovalutati i testi di cattedratici mentre sono editi ed esaltati libri di
storici da operetta.
(Riassumo). Il nostro passato (remoto,
recente) non è stato indagato a sufficienza dalla storiografia (locale,
nazionale). È stato poco e male utilizzato il materiale proveniente dai libri
di storia nella costruzione dell’identità abruzzese. Lo storytelling non ha saputo impiegare in maniera efficace la
rappresentazione che diamo di noi stessi. (Si è perso troppo nei passaggi da un
piano all’altro).
In fondo, è uno slogan che funziona nel Ventunesimo secolo quello
basato sulla forza degli abitanti di un posto? Quello che evoca l’isola in un
mondo policentrico e abbastanza interconnesso, troppo raggomitolato su se
stesso e perciò senza un punto di vista situato al suo esterno per meglio
osservarlo? La «capa tosta»? […]
(2/2)
da: Scontornamenti,
Aleph editrice 2018
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