(Altre esagerazioni). Il quotidiano
regionale ha dedicato l’apertura della
cronaca locale a un incidente: una donna è inciampata nel cordolo della pista
ciclabile lungo via G. Marconi, all’altezza della scuola media C. Corradini.
Sono io mai finito sui giornali per un
«volo» in parete, un ruzzolone in montagna, una caduta pericolosa con la mountain
bike? Quando mi arrotarono? (Ho mai
raccontato su questo mio blog le mie scivolate per strada ma soprattutto: l’ho
mai presa con altri per tutto ciò?).
Le altre persone? È andata come al sottoscritto: le testate giornalistiche raramente raccontano incidenti del
genere. Raramente, con quel che può
derivarne. (Gli inizi d’agosto, la politica in vacanza e in redazione non
giunge un comunicato-stampa neppure a pagarlo, estate, avezzanesi sotto
l’ombrellone a Silvi Marina o a Francavilla al Mare… vabbè. Prenderla con Il Centro, in questi brutti tempi, è
come sparare sulla Croce Rossa).
Qualcuno mi ha poi segnalato un pezzo
sullo stesso «episodio», pochi giorni dopo. Ecco il titolo: Avezzano. Prima vittima della pista
ciclabile in centro, in «MarsicaWeb» 8 agosto 2018.
«vìttima
s. f. [dal lat. victĭma, di
etimologia oscura]. – 1. Essere vivente, animale o uomo, consacrato e immolato
alla divinità: consacrare, sacrificare, uccidere o immolare
la v.; condurre la v. all’altare; Mentre che ’n su la riva un
bianco toro Al supremo Tonante offro per vittima (Caro); per l’usanza di
trarre auspici dai visceri degli animali sacrificati, v. extispicio. Nell’uso
ant., fare vittima di qualcuno, sacrificarlo: Carlo venne in Italia e,
per ammenda, Vittima fé di Curradino (Dante). 2. estens. e fig. a.
Chi perisce in una sciagura, in una calamità, in seguito a gravi eventi o
situazioni: le v. del terremoto; le v. dell’ultima guerra; le
v. del terrorismo; le v. di un disastro ferroviario, di una
sciagura aerea; morire vittima di una epidemia, di una grave
infezione, della droga; vittime della strada, della
montagna, ecc., i morti per incidenti stradali, per incidenti avvenuti in
montagna, ecc.; v. del dovere, chi perisce nell’adempimento del proprio
dovere. b. Chi soccombe all’altrui inganno e prepotenza, subendo una sopraffazione,
un danno, o venendo comunque perseguitato e oppresso: restare v. di un
intrigo, di un tradimento; essere v. della prepotenza altrui;
vittime della barbarie, della tirannide; anche in riferimento a
chi si danneggia da sé stesso: quell’uomo è v. del suo eccessivo
attaccamento al lavoro, della sua ambizione. In usi iperb., chi è
costretto a subire le imposizioni altrui, a essere succube di altri: essere
v. o la v. del marito, della moglie; quel giovane è sempre
stato v. della madre, o dell’autoritarismo oppressivo dei genitori.
Frequente nell’uso fam. l’espressione fare la v., atteggiarsi a vittima,
dire e lamentare di essere oppresso e maltrattato: fa la v., ma in
realtà chi comanda, in casa, è lei; smettila di fare la v.,
tanto nessuno ti crede» (Treccani dixit,
di nuovo).
La
signora in questione ha rischiato molto per una serie di circostanze ma può ancora raccontarla. Si può scrivere
dell’accaduto, anche solidarizzare, ma è bene glissare su tutto il resto –
altrimenti bisogna farlo sempre.
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