domenica 26 agosto 2018

Impro, I

Mi allargo un altro po’. Non sono l’unico ad aver letto questo pezzo (estivo): G. D’Ascanio, Inciampa sul cordolo dissestato di un albero in pieno centro e cade, 70enne trasportata in ospedale, in «MarsicaLive» 21 agosto 2018. (Niente di grave alla signora). Le chiacchiere sono poi scivolate su un brano di un recente post che riprendeva materiale scritto due anni fa: perché non ho scritto prima, della «segatura» rilasciata dal grosso ramo poi caduto in piazza Torlonia? Perché io so come regolarmi anche in un ambiente non ostile come la montagna. (Noto una buca sul marciapiede e la evito; io non ci metto certo un piede dentro, rovino a terra e poi chiamo un giornalista, una tv locale, chiedo un risarcimento al Comune casomai, chissà per cosa). Ero passato da quelle parti ventiquattr’ore prima in compagnia di alcuni parenti, del mio pronipote. La questione è che un simile ramo impiega un certo tempo per afflosciarsi completamente e in quel lasso produce del rumore, uno spostamento d’aria; in una simile situazione ci si toglie di mezzo, è molto improbabile rimanerci secco. (È diverso, stando dentro un’automobile ma hai un tettuccio sulla testa in compenso). Un conto è la sicurezza, un altro la responsabilità personale, il saper stare al mondo; la prima non raggiunge mai il 100% nella vita quotidiana.

Perché mi è stata posta una domanda del genere? Immagino perché in questi casi, uno è abituato a leggere dei pezzi che, tradizionalmente, esagerano un po’. Porto un altro esempio recente, «estivo» anche questo. C. Vitale, Crolla albero ad Avezzano per le forti raffiche di vento, un passante: sono vivo per miracolo, in «MarsicaLive» 14 agosto 2018 – è mio il grassetto. Nell’articolo invece si parla di: «un ramo di un albero di grosse dimensioni» – le foto testimoniano che è andata proprio così; è mio il grassetto. L’albero diventa poi un «arbusto». (È un albero, stando alle foto pubblicate). Infine le parole di chi ha assistito alla scena e poi ha scattato le foto: «Sono vivo per miracolo». Eddài

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