Nel post precedente – riprendendo un comunicato dello scorso 13 agosto –
ho ammesso di aver poco chiaro il progetto complessivo
di piazza del Mercato – a distanza di un anno abbondante dalla sua
presentazione. (Le avvisaglie c’erano già state dieci giorni prima, in realtà).
Roberto Verdecchia aveva conteggiato l’«erosione di ben 32-36 posti
auto che consentirebbe soltanto il transito e non la sosta su i due lati», il 3
agosto 2019. Due giorni dopo, Giovanni Ceglie (Pd) parlava di: «segnali verdi
del limite ove sarà allargata la piazza e che fagocitano tutta l’area destinata
ai parcheggi intorno ad essa». (Le associazioni di categoria dei commercianti
non hanno colto la palla al balzo questa volta e chissà perché). Leggevo,
infine, il 16 agosto (MarsicaLive): «il commissario Passerotti ha deciso
di mantenere l’attuale sistema di viabilità dell’area interessata». Mi era
sfuggito per diversi mesi tutto questo e probabilmente dell’altro: sono l’unico
avezzanese?
Penso che la comunicazione dell’amministrazione De Angelis al riguardo
sia stata almeno insufficiente: egli non ha saputo comunicare i motivi di quella
scelta, in generale. Io ritengo quel tipo di restyling senza dubbio più
interessante di quello eseguito in piazza Risorgimento, perché si proponeva niente
meno che ravvivare un luogo storico
della città, divenuto un posto di passaggio
ormai da decenni. Bisognava far capire la differenza tra l’attrazione esercitata dal mattonato proposto da Di Pangrazio e
quella della sua copertura agli avezzanesi. Una differenza sostanziale, perché
è più facile vedere qualcuno fermarsi sotto un qualsiasi riparo, fosse anche un
«forno a microonde», che sopra una superficie, per quanto artistica e
raffinata. Si è trovato perciò sotto il fuoco incrociato di vari provincialismi, come si evince dal
brano di Giuseppe Angelosante ripreso nel precedente post.
Adesso? Il progetto complessivo – almeno i tre elaborati che
s’incrociavano – è in parte compromesso e avremo in quel posto la
rappresentazione plastica di una federazione di richieste che, in teoria, non
dovrebbe scontentare nessun contendente: l’estesa copertura di vetro al
centrodestra, parcheggi h24 al Partito democratico, due platani a M5s e altri.
(Sperando che la capitozzatura non avvicini la morte degli alberi rimasti).
Gli annosi litigi personali tra due politici locali – più una recente
aggiunta – hanno perciò rischiato di sciupare un’ottima occasione per
ammodernare un pezzo di città immobile da decenni.
Nei miei giri nella nostra periferia ho notato che diversi privati hanno eliminato almeno una
pianta dal proprio orto o giardino, dopo le recenti inconsuete forti ventate. (Anche
sotto Ferragosto, senza vento né flash flood). Si tratta di alberi certo
più giovani di quelli di cui si discute da mesi, messi a dimora casomai dal
proprio genitore o da un nonno non certo da un sindaco. Sì, se ne
sono allegramente impippati della Storia, dei Ricordi e simili amenità;
loro hanno invece pensato ai danni
che avrebbe provocato il crollo di una vecchia pianta, sull’automobile, il
garage o il box, l’abitazione, la vetrata del soggiorno o della mansarda. (Chi li
avrebbe mai risarciti?). Un sindaco (particolare)
deve invece «ascoltare», quasi chiedere permesso a 42mila cittadini per
decidere se abbattere o no un albero di una certa età – anche malato –, attorno
al quale circolano decine di automobili e centinaia di persone durante l’arco
della giornata.
(Emeroteca). Leggetevi qualche dato,
per avere un’idea dello stato del nostro patrimonio arboreo, M. Sbardella, Presutti:
«In questa città mancano mille alberi», in «Il Centro» 18 agosto 2019. (Poi
vi passo un po’ di roba vecchia).
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