Sabato scorso mi è saltata l’assemblea
plenaria Cmsm per via di un vecchio e caro amico che se n’è andato. Ho letto
qualche necrologio su alcune testate locali e ho
pensato di scribacchiare qualcosa – mi era già successo nel settembre 2016.
(Per cominciare). È arduo tratteggiare
l’immagine di uno che ha frequentato così tante e diverse persone, situazioni; ciascuno
– dei suoi amici e conoscenti – ha un’idea del suo Peppe (Cristofaro). Non ho mai capito –
come molti altri – perché abbia avuto a che fare con gente tanto diversa da lui;
d’altra parte, pur in disaccordo su tutto fin dall’inizio, abbiamo portato
avanti diverse iniziative insieme. Mai litigato.
Ho preso a frequentarlo agli inizi del
1967. Poco più di un anno fa, ho raccontato molto e indirettamente di lui, durante
un’intervista. Riprendo un paio di episodi.
Alla fine degli anni Sessanta, gli
venne in mente l’idea di una sfilata di carri allegorici per il Carnevale. Non
mi tiravo mai indietro quando c’era da disegnare, inchiodare, praticare
incastri, incollare, verniciare. Lui organizzò il lavoro per parrocchie e passò
qualche mese a invitarle, pregarle di partecipare in qualche modo. Io iniziai
quasi immediatamente il carro per le mie parti (San Bartolomeo); alcuni giorni
dopo, lui mi fece capire garbatamente che aveva problemi di volontari con una
parrocchia, probabilmente la sua (San Rocco) e che avrei dovuto pensarci io –
da solo, anche nel secondo caso. (Lavoravo dentro una struttura abbandonata
dell’allora Ente Fucino). Feci a tempo a finire le mie «opere», anche se ne ero
poco soddisfatto; il giorno fatidico, me ne tornai a casa non appena montati i miei
due carri, sopraffatto dal freddo e dalla stanchezza. Non gli ho mai chiesto
come fosse andata la sfilata, il numero dei carri partecipanti, il pubblico.
Eravamo ancora entrambi quattordicenni a Carnevale del 1970. (Considerando l’età
media di chi mi segue, mi scappa di citare il Maestrone ‘e poi disse al vecchio con voce sognante: | «Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!»’).
Gli venne voglia di fare una rivista
studentesca pochi mesi dopo; era un tipo di manifestazione che si era tenuta
fino a qualche anno prima nell’allora cinema-teatro Impero, l’ultimo giorno di
scuola dell’anno. Era un misto di gag,
brevi farse, canzoni, poesie interpretate da un buon numero di ragazzi; era
curata dagli studenti delle ultime classi delle superiori. (Non avevamo perciò
l’età per imbarcarci in una simile iniziativa). Gli feci subito capire che non
m’interessava minimamente: era un tipo di manifestazione obsoleta, secondo me;
in seguito, dopo aver visto la quantità di persone che lui era riuscito a
coinvolgere, decisi d’impegnarmi anch’io. Venne fuori una mezza copia ben fatta
delle manifestazioni precedenti, al Teatro San Rocco ma in gennaio o febbraio;
curai le luci e riprodussi l’effetto psichedelico tipo Pink Floyd quando suonò
il complesso – era poco appropriato per quelle musiche, lo so. (La novità per
Avezzano furono le canzoni cantate in inglese da un unico gruppo e qualche pezzo
rock) Non mi parlò più di riviste
studentesche, pensò invece a qualcosa che superasse lo spontaneismo di quegli
anni (associazione), con un’attività circoscritta a un campo ben preciso (teatro).
Dopo qualche tempo, nacque il Gruppo teatrale sperimentale marsicano che, non
ricordando male, radunava più che altro ragazzi del nostro liceo scientifico; io
non lo seguii in quell’avventura anche perché nel frattempo avevo incrociato
nel mio cammino il mimo Romano Rocchi e avevo perciò sviluppato un’altra idea
di teatro, più legata al corpo. Da quell’esperienza nacque il Lanciavicchio e da
quella compagnia (cooperativa), derivò
in seguito Gabriele Ciaccia per fondare il Teatro dei Colori – le due compagnie
professionali d’Avezzano. Evito di citare
le persone che hanno incrociato quei gruppi e vivono, altrove, lavorando nel mondo del teatro e dello
spettacolo. Ecco, mi premeva mostrare questo fil rouge di vecchie e dimenticate storie con i nostri giorni: non
è stato inutile tutto quell’attivismo.
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