È dovuto a un necrologio di tipo
auto-referenziale il post dello scorso 7 gennaio, si notava poco in esso la
persona scomparsa. (Il resto è stato una sfilata di mezzi c.v. e patacche che
non solo io ho trovato deprimente). Io ho preferito ricordare un mondo affondato
nel vortice degli eventi – che perciò non tornerà – e l’origine lontana di
alcuni gruppi professionali operanti in città; è stata una parte
dell’esperienza, della vita di un vecchio amico e confinata per di più al tempo
dell’adolescenza. (C’è più di uno che, pur non abituato a scrivere, ha inviato agli
amici delle cose più dignitose e profonde delle mie e trattandosi di materiali
semi-privati, io preferisco non menzionare).
Qualcuno mi ha anche fatto notare
questo frammento: «in disaccordo su tutto fin dall’inizio». È stato un fatto casuale;
la casualità è dipesa dal periodo in cui siamo cresciuti, oggi è più difficile
che si assista a una situazione uguale o almeno simile. Ho letto diverse
commemorazioni del famoso Cinquantenario trovandole incomplete, l’anno passato.
Che cosa mancava? Si è trattato in maniera marginale delle «barriere» che i nostri
fratelli maggiori di mezzo mondo volevano abbattere, anche negli anni
precedenti quella data fatidica. In breve: se chiesa, esercito, famiglia o
scuola t’impedisce di frequentare gli altri o il mondo, abbandonale. Fuggi. Ho
provato la sensazione di essere identico agli altri coetanei, sentirmi come fuso
con loro; la curiosità spingeva anche ad accogliere il maggior numero possibile
di persone, a trattarle tutte alla stessa maniera, in quegli anni.
Succedeva che in un’iniziativa erano
coinvolte persone diverse che normalmente poco si sopportavano, quando non di
peggio; si tirava avanti insieme, spronati dall’obiettivo comune ma soprattutto
da chi era stato capace di riunire in qualche maniera tante persone. (‘e il padrone non sembrava poi cattivo’). Si è ripetuta la stessa cosa per le
faccende della vita privata: persone distanti tra loro per mentalità si sono
frequentate per anni perché tenute insieme da un amico comune. (Ho mai tentato
operazioni del genere in prima persona? No, non ne sarei stato capace: non è da
tutti)
Ho parlato
con diversi amici che non ho incontrato ai suoi funerali; non sono venuti
generalmente perché volevano sottrarsi alla massa di retorica che immaginavano
messa in scena per l’occasione e hanno preferito salutarlo negli ultimi giorni,
raccogliersi davanti alla bara dove lui ha sempre abitato o raccontare in
privato il proprio dolore a gente che si frequenta da una vita. (I funerali
laici sono purtroppo peggiori. Chi mi conosce sa che sono abbastanza
infastidito dagli applausi ai funerali, da quelli dentro la chiesa in
particolare.) È successo questo, appunto perché è venuto meno un perno che ha
tenuto insieme per decenni un’invidiabile quantità di persone.
Sì, si poteva rimanere molto legati a
una persona senza mai andarci d’accordo sulla musica da ascoltare, le ragazze e
poi le donne, il genere teatrale, i panni da mettersi addosso, la politica e la
religione iniziando cinquantadue anni fa.
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