Nelle
chiacchiere di questi giorni, qualcuno mi ha chiesto di applicare le mie analisi
a casi concreti. Ho portato qualche esempio prendendo dei brani dal web; poi, è
fortunatamente uscito questo e ve lo giro perché esauriente: «chi il 10
febbraio a Vasto voterà per la Lega dico che darò una casa popolare prima agli
italiani. Se c’è un posto di lavoro lo do prima a un italiano, se c’è un bonus
bebè lo do prima a un italiano», da AbruzzoWeb
21 gennaio 2019. (Non c’è bisogno di citare nome e cognome di chi ha parlato;
prendo per buona la trascrizione dell’intervento nella testata aquilana).
Prendo
quel brano e lo infilo nella mia cornice «calo
di popolazione abruzzese negli ultimi anni», ne ho scritto l’ultima volta il 17 gennaio.
Che fine farà?
La
vicenda dell’edilizia popolare in Italia è molto ridimensionata da quasi mezzo
secolo; gli interventi degli ultimi anni sono generalmente concentrati nelle
maggiori città con forte tensione
abitativa. (Vasto conta poco più di 41mila abitanti). Gli agglomerati
abruzzesi risentono in qualche maniera anche della contrazione della
popolazione negli ultimi anni: serve a cosa costruire delle nuove abitazioni? (È
perciò pensabile, praticabile il Prg a «zero consumo di suolo»). Vale lo stesso
discorso per i posti di lavoro. Si assottiglia da anni il numero dei posti di
lavoro appetibili dagli abruzzesi: che fare? È necessario, come prima cosa, ricavare dei nuovi posti di lavoro e
poi decidere chi, può avere la precedenza. Non si sta trattando di tutto ciò in
generale, da anni e in questa campagna elettorale in particolare. La politica
industriale è una sconosciuta, ormai da decenni. (È sconsigliabile proporre
nuovamente le ricette degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, perché
la situazione internazionale è molto cambiata.) Perché non provare a togliere
il posto di bracciante a un marocchino o un macedone in favore di un autoctono?
(A tre euro l’ora moltiplicate per dieci-dodici, senza contributi s’intende).
Vi è la questione della scarsità dei nuovi nati, per finire. Sono molteplici i
motivi di un calo delle nascite: è
bene averne coscienza prima di parlarne, proporre qualche soluzione.
L’esperienza personale m’insegna che i figli degli amici (rimasti in queste
parti) frequentano l’università, ben lontana dalle nostre montagne a differenza
dei loro genitori; una volta laureati restano fuori della nostra regione, lavorando
e mettendo su famiglia. Puoi dare il «bonus bebè» prima a chi vuoi – italiani, rettiliani,
magazzinieri, coltraniani, turcomanni, marziani –, ma nel nostro caso viene
meno proprio la materia prima: il neonato. (Di là del fatto che i figli costano
più da adolescenti, da giovani, quando si sposano che non nei primi anni di
vita).
Il
mio «calo di popolazione abruzzese» non
è – comprensibilmente – farina del mio sacco ma un dato rilevato dall’Istat.
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