mercoledì 23 gennaio 2019

R19 (Mag. Ita. Riu.)

Nelle chiacchiere di questi giorni, qualcuno mi ha chiesto di applicare le mie analisi a casi concreti. Ho portato qualche esempio prendendo dei brani dal web; poi, è fortunatamente uscito questo e ve lo giro perché esauriente: «chi il 10 febbraio a Vasto voterà per la Lega dico che darò una casa popolare prima agli italiani. Se c’è un posto di lavoro lo do prima a un italiano, se c’è un bonus bebè lo do prima a un italiano», da AbruzzoWeb 21 gennaio 2019. (Non c’è bisogno di citare nome e cognome di chi ha parlato; prendo per buona la trascrizione dell’intervento nella testata aquilana).
Prendo quel brano e lo infilo nella mia cornice «calo di popolazione abruzzese negli ultimi anni», ne ho scritto l’ultima volta il 17 gennaio. Che fine farà?
La vicenda dell’edilizia popolare in Italia è molto ridimensionata da quasi mezzo secolo; gli interventi degli ultimi anni sono generalmente concentrati nelle maggiori città con forte tensione abitativa. (Vasto conta poco più di 41mila abitanti). Gli agglomerati abruzzesi risentono in qualche maniera anche della contrazione della popolazione negli ultimi anni: serve a cosa costruire delle nuove abitazioni? (È perciò pensabile, praticabile il Prg a «zero consumo di suolo»). Vale lo stesso discorso per i posti di lavoro. Si assottiglia da anni il numero dei posti di lavoro appetibili dagli abruzzesi: che fare? È necessario, come prima cosa, ricavare dei nuovi posti di lavoro e poi decidere chi, può avere la precedenza. Non si sta trattando di tutto ciò in generale, da anni e in questa campagna elettorale in particolare. La politica industriale è una sconosciuta, ormai da decenni. (È sconsigliabile proporre nuovamente le ricette degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, perché la situazione internazionale è molto cambiata.) Perché non provare a togliere il posto di bracciante a un marocchino o un macedone in favore di un autoctono? (A tre euro l’ora moltiplicate per dieci-dodici, senza contributi s’intende). Vi è la questione della scarsità dei nuovi nati, per finire. Sono molteplici i motivi di un calo delle nascite: è bene averne coscienza prima di parlarne, proporre qualche soluzione. L’esperienza personale m’insegna che i figli degli amici (rimasti in queste parti) frequentano l’università, ben lontana dalle nostre montagne a differenza dei loro genitori; una volta laureati restano fuori della nostra regione, lavorando e mettendo su famiglia. Puoi dare il «bonus bebè» prima a chi vuoi – italiani, rettiliani, magazzinieri, coltraniani, turcomanni, marziani –, ma nel nostro caso viene meno proprio la materia prima: il neonato. (Di là del fatto che i figli costano più da adolescenti, da giovani, quando si sposano che non nei primi anni di vita).

Il mio «calo di popolazione abruzzese» non è – comprensibilmente – farina del mio sacco ma un dato rilevato dall’Istat.

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