Si può partire dalle
celebrazioni del Centenario del terremoto nella Marsica e nel suo capoluogo in
particolare per meglio interpretare alcune usanze dei suoi residenti.
L’unica cosa che mi sono
augurato fin dall’anno precedente è che qualche ragazzo terrorizzato dai dati
sciorinati nei convegni e nelle iniziative targate Ingv, da adulto richiedesse almeno
qualche informazione riguardante la struttura della magione da acquistare, in
caso di convivenza o di matrimonio. (È il modo di combattere i terremoti da
parte di noi umani, da qualche tempo. Non solo, una robusta struttura di
cemento armato è utile anche nel caso di fenomeni meteorologici estremi dovuti
ai recenti cambiamenti climatici).
Doveva andare proprio in
quel modo il Centenario, in continuità con il secolo precedente: il solco era
già tracciato. Ci troviamo in una zona in cui i residenti non sentono in
particolar modo la mancanza di una storia recente, o almeno di una
rappresentazione in grado di orientare le scelte politico-economiche di
medio-lungo periodo. Nel senso: sono in molti, una larga maggioranza di
marsicani a non presentare esigenze del genere. Non è perciò una questione che
riguarda solo l’élite o gli intellettuali
in senso stretto e bisogna considerare almeno quanti esprimono qualcosa in
pubblico e orientano l’opinione pubblica, in qualche modo: una cifra a due zeri
in una popolazione di 135mila persone, ai nostri giorni.
I nostri intellettuali
hanno fabbricato poco nel passato recente, com’è stato considerato, un anno fa.
«Queste persone […] non hanno creato nulla di complessivo: un pensiero, una
formazione, un’attitudine, una scuola. Non un metodo. Non ci hanno portato
avanti», Il Martello del Fucino 13
2014. (Era riferita ad Angelo Melchiorre, Vittoriano Esposito e Romolo
Liberale).
La mia domanda invece è:
perché tali personaggi (non solo i tre della citazione) non hanno voluto o non
sono riusciti a costruire qualcosa? Le risposte sono semplici: non era il loro
compito, non glielo ha mai chiesto nessuno, non ne sentivano essi il bisogno.
È faccenda da accademici o
anche da ricercatori universitari tutto ciò (pensiero, formazione, attitudine,
scuola, metodo) e limitata a una loro piccola porzione. (Non si scandalizza
nessuno se un qualsiasi corso di laurea è una mera trasmissione di nozioni.
Teoremi, procedure, Weltlichkeit,
leggi, parallasse, eccetera). Si poteva perciò chiedere dell’altro perfino a
Umberto Eco (1932), a Giulio Giorello (1945), a Emilio Garroni (1925-2005) e a pochi
altri. L’università italiana (pubblica, privata) per quanto malridotta e squalificata
possiede ancora le biblioteche, i laboratori con i materiali e macchinari, i
musei, le sue istituzioni di ricerca e i rapporti con gli altri atenei, tutte
cose che con tutta la passione e la buona volontà di questo mondo, non si può riprodurre
– anche in scala ridotta – dentro una soffitta o nel garage. Stando dentro un
dipartimento trovi sempre qualcuno che t’indirizza, ti segue, controlla con
discrezione ciò che firmi (articolo, studio, ricerca, perfino report) e impieghi meno tempo a svolgere
il compito assegnato. Extra Ecclesiam
nulla salus; si spendono invece degli anni, si produce poco e di qualità non
eccelsa fuori dalle istituzioni e dai centri di ricerca. (Il mio ragionamento
potrebbe arrestarsi a questo punto). 1/8
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