venerdì 4 settembre 2015

of the soul's still bowery


Vale lo stesso discorso per i cosiddetti intellettuali. Ci vuole del tempo e dell’impegno per licenziare un qualsiasi saggio (musica, storia, archeologia, letteratura, eccetera); alla fine, se uno crede in ciò che è stato capace d’imbastire, va da un editore degno di tale titolo o meglio ancora, di suo gradimento. Può andar bene o si può vedere la propria opera rifiutata. Si stampa per proprio conto nel caso peggiore – a proprie spese. Si prova in tal caso a diffondere il più possibile nella Penisola le proprie elaborazioni; ci si confronta con il mercato, al bancone della libreria più che correre dietro all’assessore o al proprio istituto di credito per farsi scucire i quattrini per saldare le spese di tipografia sostenute. (Le copie vendute in tal caso, resteranno a prendere polvere per decenni in qualche scantinato). I saggisti del tempo andato, avevano il vezzo di portare personalmente – in modo plateale – i loro volumi in libreria, giusto per tenere occupato per anni uno spazio. (Veder sbiadire la costa o la copertina di un libro invenduto era invece un effetto indesiderato). Qualcuno faceva finta di stizzirsi quando capitava per caso nella cartolibreria di riferimento e s’informava sulle vendite; scuoteva la testa: «Non c’è cultura, non c’è cultura…», neanche se alla Rizzoli di Roma o alla Feltrinelli di Milano avessero fotografato code di persone smaniose di acquistare le sue pubblicazioni. Lo stesso indugiare sul manoscritto o sulla tela impiastricciata dall’impiegatuccio che scopriva verso i quarant’anni di possedere delle doti artistiche, finalizzato alla stesura di una presentazione o di una recensione – ripetuto quattro-cinque volte l’anno per decenni –, indicava la mancanza di un progetto di vita o come minimo, di una direzione. È stato tempo sottratto alla lettura dei classici e alla scrittura; anni sprecati indubbiamente, ammesso che qualcuno volesse spingersi oltre la chiostra di questi monti. Molti di loro leggevano i libri della biblioteca (scolastica, comunale, regionale) o quelli stampati e portati in dono dagli speranzosi clientes – ne risentivano le bibliografie. Ignoro se esistesse qualche interesse recondito anche dietro al pianoforte verticale inutilizzato nel salotto o all’ora di tennis a settimana – solo in estate. (E’ stato una sorta di blasone per decenni la frequenza del ginnasio o addirittura del liceo classico. In proposito: le scuole superiori hanno rappresentato una sorta di smistamento e trampolino per le attività culturali locali – per chi ne ha voluto approfittare – nemmeno fossero facoltà universitarie, un conservatorio o un’accademia di una grossa città). Oggi invece si lavora sul personaggio più che investire su se stessi o sul prodotto che si vuol mettere in circolazione. Un paio di mesi fa, scrivevo del tempo andato: «Chi assumeva pose da artista o da intellettuale possedeva almeno un’infarinatura delle cose di cui si occupava, nel tempo libero» e tutto ciò mi ha fatto dimenticare la spocchia di tanti, a distanza di anni. 3/8

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