Che cosa ha raccontato di questi
posti e della nostra gente tale categoria? Nulla, se scorrendo i mass media si trova ancora accreditata
una buona parte dell’immagine che se ne aveva a fine Ottocento: una terra di
pastori ma anche di Telespazio. (Citavo
nella mia ultima pubblicazione, a proposito della Marsica: «questa terra di
pastori e boscaioli», V. Renzopaoli, in «AffarItaliani» 12 gennaio 2015). Siamo
noi che contribuiamo alla nostra immagine, in qualche modo. I pochi marsicani
che hanno avuto campo libero nei mezzi d’informazione – dove si formava
l’opinione pubblica – più che raccontare ciò che loro avevano davanti agli
occhi (anche alle pupille della cultura e dell’esperienza), essi hanno citato e
rielaborato le impressioni di viaggio di scrittori e giornalisti passati dalle
nostre parti negli ultimi due secoli. Si trattava appunto d’impressioni – non di studi –, buone giusto
da gustare leggendo perché scritte da penne di un certo rilievo, ma niente di più.
Il tema per il giornalista italiano di talento era: viaggio nella provincia –
talvolta profonda. Deriva da quel repertorio descrizioni del tipo: «i celanesi
sono aggressivi e svelti con il coltello ma
anche dei gran lavoratori». (Chi proveniva da una metropoli – italiana o
straniera – però dimenticava immediatamente la diffusa delinquenza che aveva
lasciato alle spalle e annotava giusto qualche pettegolezzo ascoltato in giro.
Si provvedeva in compenso a non offendere nessuno. È capitato a molti personaggi
e ci andava messa una pezza da chi poteva. Io me la sono presa con Paolo Rumiz
anni fa – con i miei scarsi mezzi a disposizione). È un fatto che dalle nostre
parti abbiamo lasciato produrre e diffondere in Italia – da persone che, per
quanto sponsorizzate dalla politica e dai mass
media, avevano una scarsa conoscenza del comprensorio in cui vivevano –, immagini
datate e banali della nostra terra che hanno rafforzato l’oleografia ufficiale.
Si ascrive a qualcuno l’aver
smistato, promosso e perfino consigliato i numerosi colleghi degni di nota,
anche se alla fine… accettava tutti quelli che si rivolgevano a lui, riconoscendo
così prima la sua autorità e poi la sua autorevolezza. È una tattica per
ampliare lo stuolo dei clientes, il
non voler distinguere tra un professionista e un dilettante.
Potevano comportarsi
diversamente i nostri intellettuali? Penso di no. Non hanno provato nemmeno a porre
semplici interrogativi ai conterranei, né sulla loro condizione, né sulla
storia recente e tanto meno a interpretare gli impetuosi cambiamenti cui si
assisteva. Non hanno raccontato ciò che loro hanno vissuto in tempo di guerra,
anche in forma letteraria. È sufficiente ripensare alle celebrazioni locali del
25 aprile: pare che la Marsica si sia liberata da sola dai tedeschi e dai
fascisti, stando alla Vulgata. In
pratica: quattro gatti con pistole e qualche schioppo – quando ne erano provvisti
–, hanno avuto ragione in poco tempo di un folto esercito (germanico) ben
equipaggiato quanto ad armi, artiglieria e carri armati. (I trentenni di oggi
sono cresciuti con gli elicotteri targati LAPD volteggianti – al cinema e in tv
– sull’abitato della città di quarzo per normali operazioni di perlustrazione).
Vale lo stesso per le lotte nella Piana; di recente ho confrontato l’anno
dell’inizio delle lotte bracciantili in Italia (1947) con quelle contadine dalle
nostre parti (1950). Ci sono voluti quasi tre anni prima che partisse la riscossa.
E per fortuna che il Fucino dei Torlonia – come affermato da fonte autorevole –
era un pezzetto d’Italia dove non erano in vigore le leggi dello Stato… (È
patetico oggi leggere pezzi commemorativi perfino sulla cosiddetta battaglia
per la Provincia AZ nella seconda metà degli anni Ottanta. Anziché
vergognarsene). 5/8
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