martedì 22 settembre 2015

where the wheels are turning


Non potendo procrastinare ulteriormente la messa in rete dei post dedicati all’isola pedonale – una vicenda che ha visto una ripresa d’interesse tra la fine d’agosto e l’inizio di questo mese, io riprendo una vicenda (A Perfect Murder) apparsa in questo post:
C’è stata la novità delle telecamere di Canale5 nel frattempo, ma la sostanza del mio ragionamento non cambia – interessante il primo commento («Basta pensare solo ai profughi!!!! Ci sono tante situazioni cos[ì] a casa nostra!!!»), per capire dove va a parare il pezzo:
Segnalo anche questo:
(È preziosa la didascalia in un’immagine, in basso a un’inquadratura televisiva: Italiano dorme in auto da 4 anni e il vescovo accoglie gli immigrati: non si tratta perciò solo di comune spettacolarizzazione della sofferenza. La notizia riferita al nostro vescovo risaliva invece a più di una settimana: altro che il mondo cambia di ora in ora…).
Ho imposto un taglio particolare alla vicenda: la storia narrata non è credibile perché non può essere controllata, verificata da un giornalista né da un terzo, poiché i soggetti istituzionali che seguono simili situazioni non sono tenuti – in generale – a fornire informazioni su coloro con cui vengono a contatto. Punto. (Scrivo adesso ciò che in qualche modo mi è stato richiesto e mi sono risparmiato all’inizio).
La favola dell’uomo senza una casa, che non si lava e non mangia da anni (e molto altro), si regge – ha un senso – giusto se inquadrata nelle «vicende dell’accoglienza agli immigrati» o accostata allo slogan «Prima gli italiani». È una storia che ha interesse pari allo zero, altrimenti.
Mi spiego. Una città di 42mila residenti conta alcune migliaia di disagiati – anche se non tutti definibili come «gravi», per loro e nostra fortuna. (Istat: nel 2014 in Italia, la «povertà assoluta coinvolge il 5,7% delle famiglie e la povertà relativa il 10,3%». Si tratta perciò di milioni di persone). Non è perciò una notizia parlare di uno solo – per quanto particolare –, sia da parte di chi bazzica Avezzano e dovrebbe ben conoscerla (Il Centro, MarsicaLive) sia di chi ha sede seicento chilometri più a nord (Mediaset, Il Giornale). Rientrano tutti in una qualche rete di assistenza (pubblica, privata, informale); non voglio giudicare la qualità dell’azione o del servizio che tali strutture e tali singoli svolgono. Non si abbandona nessuno da noi – com’è sempre avvenuto nelle società umane. Si segue il disagiato perché è generalmente segnalato dai parenti, da un amico, un conoscente, un passante o è lui ad avvicinarsi ai servizi sociali del Comune o alla Caritas. (È uguale o simile la situazione anche a Cologno Monzese – più grande d’Avezzano e con qualche «scoppiato» in più. Per non parlare di Milano).
G. Meloni (Fdi) nello studio di Otto e mezzo (17 settembre) confronta agevolmente i migranti ospitati per qualche mese in un albergo valtellinese con l’«italiano» d’Avezzano senza casa né lavoro (e molto altro) da quattro anni perché infila il secondo nella cornice interpretativa dell’immigrazione favorita dal governo a scapito degli «italiani».
Ho trovato almeno ridicolo tirare in ballo il vescovo del Marsi o il sindaco – soprattutto, dopo aver scritto: «Tempo fa era stato ospitato nella casa di accoglienza San Giuseppe di Avezzano, ma solo per tre mesi, quelli più freddi».
(Vi mollo un divertissement sul tema dopodomani, ma potete saltarlo).

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